Martys
Martys,il martirio della cristiana catanese Agata
Voce fuori campo: “Agata, appartenente a una famiglia agiata dell’aristocrazia terriera catanese, nacque a Catania intorno al 231 d.C., sotto l’imperatore Alessandro Severo. Durante questo periodo il cristianesimo si era ormai diffuso in tutto l’impero, da Oriente ad Occidente e godeva di un periodo di pace».
- voce fuori campo: «Il generale illirico Quinto Decio assunse il potere nel 249, dopo aver fatto uccidere Filippo l’arabo,peraltro imperatore tollerante verso il cristianesimo, ma sfortunato nella lotta contro i barbari».
I: «Era intenzione di Decio rendere l’impero più forte e riportarlo allo splendore di un tempo. Benché di forte personalità, egli subì le pressioni della classe dirigente romana che lo indusse a tentare di sottomettere i cristiani all’antica religione olimpica, che era anche religione di stato, perché considerati i più pericolosi nemici della sua unità».
II: «Così nell’ottobre 249, all’indomani della sua proclamazione a imperatore, Decio promulgò un editto di persecuzione contro i cristiani. In ogni località fu costituita un’apposita commissione, davanti alla quale ogni cittadino doveva comparire per compiere un gesto sacrificale agli dei olimpici. Contro gli esitanti si doveva procedere ricorrendo a tutti i mezzi coercitivi possibili: il carcere, la confisca dei beni, l’esilio, i lavori forzati, la tortura e, in certe circostanze, anche la pena di morte.La persecuzione anticristiana di Decio fu durissima ma di breve durata. Si svolse nell’intero arco del 250 ma alla fine dell’anno si poteva praticamente considerare esaurita. Tra le esecuzioni capitali compiute per ordine diretto dell’imperatore vi fu quella di papa Fabiano, avvenuta a Roma il 20 gennaio 250, a seguito di una sua coraggiosa protesta contro l’editto. Furono inoltre giustiziati due domestici dello stesso palazzo imperiale, Calogero e Pontenio. Verso la fine dell’anno però Decio, impegnato militarmente sul fronte danubiano, lasciò cadere la persecuzione, senza emanare un atto formale di abrogazione.All’inizio del 251 sembrò rifiorire un clima di pace e serenità, reso possibile dal fatto che tutti i prigionieri erano stati liberati e molti dei beni confiscati restituiti”
I: «Per quale ragione allora nel 251, cioè in epoca posteriore alla fine della persecuzione di Decio, la nobile Agata di Catania venne arrestata, processata e martirizzata dal proconsole Quinziano, che dopo aver ricoperto l’alta carica annuale di console a Roma nell’anno 235, com’era previsto nell’iter della carriera, ottenne per diversi anni la carica di proconsole in Sicilia, dove fu presente fino al 251, anno della morte di Agata, ma anche della sua, di poco posteriore.
In quanto funzionario di grande avvedutezza ed esperienza, egli non avrebbe certo rischiato di attirarsi le critiche dei colleghi nè l’ira dell’imperatore col rinfocolare una persecuzione che era ormai inoperante se non per appagare fortissime ambizioni personali…».
Entriamo ora con discrezione nella casa di Agata e sentimo suo padre che le raccomanda ancora una volta la massima prudenza e anche accondiscendenza nei confronti degli amici di famiglia che per la sua sicurezza che può sempre essere nsidiata dalla prepotenza del proconsole Quinziano,conviene che compia un atto meramente esteriore di conversione alla religione di Stato
Agata affettuosamente gli risponde ancora una volta_«Padre, come può una funzionaria di Dio,una diaconessa che insegna il Verbo e battezza donne d’ogni età dichiarandole figlie di Dio, una vergine di Cristo, aver paura di cedere alle lusinghe di un proconsole della stirpe di Ponzio Pilato? È così debole dunque la mia fede, così superficiali i miei propositi cristiani da sgretolarsi come sabbia alle sue pressioni? Nulla di meglio può accadermi che diventare martire per mano di quel demonio». P.: «Agata, io e tua madre siamo stati cristiani fedelissimi al Nostro Signore e io lo sono sempre di più nonostante la mia carissima moglie,da quando è morta mi manchi come l’acqua e l’aria.Entrambi eravamo incorruttibili cristiani e fu per questo che liberammo gli schiavi che lavoravano nelle nostre terre e ne facemmo liberi contadini legati a noi da accordi dignitosi. Ma ora tremo al pericolo che incombe. Agata, tu pensi a tuo padre?».
A.: « Padre, ti penso costantemente sullo sfondo della mia unione con Gesù Cristo. A questo punto è giusto che ti dica l’altro motivo per cui non posso sottrarmi all’arresto. Non posso farlo proprio per te, carissimo papà. Perché se davvero Quinziano è intenzionato a processarmi, non trovandomi in casa non esiterà a dar ordine di arrestarti e torturarti finchè non gli rivelerai il luogo in cui mi nascondo. Quel demonio dopo averti torturato a morte farà lo stesso con tutti i nostri parenti finchè non sarà riuscito a rintracciarmi».
P.: «Agata, constato con dolore e gioia che sei assolutamente ferma nei tuoi propositi».
A.: «Padre sento che questa è la mia ultima notte da donna libera, nella mia casa, con mio padre, nella casa dove vissi con la mia amatissima madre, una notte di ricordi che sarà lunga come l’intera mia vita. Ti prego, aiutami a ricordare qualcosa di quand’ero troppo piccola per poterlo tenere a mente».
P.: «Avevi appena tre anni quando ti affidammo alla diaconessa Fabiana per i primi insegnamenti cristiani. Tutto sembrava un gioco. Fabiana ti indicava il cielo e ti diceva: “Lì risiede il nostro padre” e tu le rispondevi stringendoti a me: “Il mio papà è lui!”. Fabiana rideva e continuava: “Lì è anche la nostra madre” e tu, attaccandoti alle vesti di tua madre m, piangendo dicevi: “È lei mia mamma!”. L’amore per il prossimo non si dovette certo far fatica a insegnartelo. In te era uno slancio naturale, spontaneo, connaturato col fatto stesso di vivere… Per te l’amore era respiro, luce,l’odio e i culto degli dei pagani polvere buia…Fabiana ci diceva che non occorreva indirizzare la tua volontà verso la fede perché essa già vi si dirigeva come una pianta che non può tendere altrimenti che al cielo. Agata, ti ricordi del tuo primo accesso ai sacramenti?».
A.: « Certo Questo come avrei potuto dimenticarlo? papà. Avevo ormai sette anni, un’età in cui tutti i ricordi rimangono bene impressi in mente… Ormai erano
trascorsi i tre anni di catecumenato previsti dalle nostre tradizioni per accedere al battesimo, all’Eucaristia e alla Cresima in un sol giorno. Quella vigilia di Pasqua non potrò mai dimenticarla… Davanti alla casa del vescovo Sinerio, illuminata da fiaccole, eravamo allineati in due file, i maschi e le femmine, i primi a seguire le istruzioni del diacono Ilio e noi quelle di Fabiana
. Avevamo età diverse. Tra noi c’erano molti bambini come me, ma anche adolescenti, adulti, perfino anziani che volevano convertirsi alla fede di Cristo,ognuno al suo posto dietro i due fideiussori che guidavano anche genitori, parenti o amici. Ricordo benissimo che ero così fiera di ciò che mi accingevo a fare che mi volsi verso la mamma sorridendo, ma lei piangeva, commossa. Poi le due file scesero nei sotterranei. Attraverso una stretta scala noi bambine e donne arrivammo in una sala ben illuminata da torce. Lì il fiume Amenano formava un piccolo laghetto sotterraneo. Fabiana ci fece immergere fino all’altezza delle ginocchia recando in mano una ciotola consacrata. Ricordo che la sensazione di freddo che avevo scomparve non appena entrata in acqua. Quindi riempì la ciotola e mi bagnò il capo tre volte, pronunciando la formula del battesimo. Poi sorridendo mi disse di uscire e andare dalla mamma, che, dopo avermi asciugato, mi fece indossare una veste candida. Poi ci fece salire nella grande sala del piano superiore dove ricevemmo dal vescovo Sinerio, immerso in una folla festante ma composta, l’Eucarestia e la Cresima».
P.: «Ben presto, diventasti la più attiva aiutante di Fabiana. Infatti eri presente in tutti i suoi spostamenti in città».
A.: «Fu il migliore apprendistato che potessi sperare. Papà tu mi rammenti sempre i pericoli che incombono su di me in quanto Gesù Criso è il mio sposo. Come essere umano anch’io dovrei temere la morte, soprattutto se per causa violenta.Tuttavia l’insegnamento di Fabiana cancellò in me il timore della morte comunque potesse avvenire, massimamente se nel nome di Gesù Cristo mio sposo Quanti cristiani si son fatti uccidere per amor suo? La fede dei credenti è stata e sarà più potente della mano del boia».
P.: «Ricordo bene quello che ci raccontava Fabiana sui martiri del passato. Cento anni fa fu martirizzato Policarpo, vescovo di Smirne, con i suoi diaconi e i fedeli più devoti. Tra loro Germanico fu il più forte e con l’esempio della perseveranza ebbe a sostenere la debolezza degli altri. Fu magnifico nella lotta contro le belve. Il proconsole di quella lontana città lo scongiurava di aver pietà della propria giovinezza, ma egli attirava su di sé le fiere percuotendole, desideroso di uscire al più presto da un mondo ingiusto perché dominato dal male. Quando Policarpo fu portato di
fronte al proconsole questi gli disse: “Insulta Cristo e io ti libererò”. E lui rispose: “Da ottant’anni lo servo e non mi ha mai fatto del male. Come potrei bestemmiare il mio re e salvatore?”. Per aver detto queste parole fu mandato al rogo.Una volta Fabiana ci lesse lalettera dei Servi di Cristo che abitano a Vienne e a Lione in Francia:” A tutti i fratelli che hanno la nostra stessa fede e la nostra speranza nella redenzione. Non saremo capaci di descrivervi esattamente la violenza della persecuzione di qui, il furore dei pagani contro i santi e le sofferenze che sopportano i beati martiri: è impossibile farne una descrizione completa per iscritto… Maturo e Santo subirono tutta la serie delle torture, come se non avessero sofferto niente fino ad allora, le aspettative dela loromorte sicura in moltissime prove… Alla fine morirono sulla sedia infuocata… Le belve non osarono neppure avvicinarsi alla beata Blandina, che, crocifissa, pregava ad alta voce infondendo coraggio ai compagni… Alla fine morì con il giovinetto Pontico, di soli quindici anni, per mano della folla inferocita che voleva costringerli a giurare sui loro idoli”. Nella stessa epoca il procuratore di Cartagine Ilariano disse a Perpetua, madre di un bimbo in fasce, appartenente con Felicita a un gruppo di cristiani arrestati: “Compi un sacrificio in onore agli imperatori!”. E lei: “Non lo farò!”. E Ilariano: “Sei cristiana?”. “Sono cristiana!”. Il giorno del martirio arrivò».
P.: «Perpetua, Felicita e gli altri martiri cristiani lasciarono la prigione per andare nell’anfiteatro, lieti e composti in volto come se stessero per salire al cielo trepidavano di gioia, non di paura. Quando furono giunti alla porta dell’arena e si volle forzarli a vestire costumi pagani, Perpetua disse…».
A.: «“Siamo venuti qui volontariamente, per difendere la nostra libertà. Noi sacrifichiamo la nostra vita per non dovervi rinunciare.Tuttavia L’ingiustizia dovette cedere davanti alla giustizia. Il tribuno consentì a fa rli entrare vestiti così com’erano».
P.: «Saturnino e Revocato furono attaccati da un leopardo, poi sul palco furono sbranati da un orso».
M.: «Perpetua, lanciata in aria da un toro, ricadde supina. Quando potè sedersi e si accorse che la veste si era strappata da un lato, subito la tirò per coprirsi le gambe, più preoccupata del pudore che del dolore. Poi cercò una forcina e si rassettò i capelli che si erano scioltiperchè una martire non può soffrire la sua passione coi capelli sparsi, per non aver l’aria di essere in lutto nella sua gloria. Poi si alzò e vedendo Felicita abbattuta si avvicinò a lei, le tese la mano e l’aiutò a risollevarsi”
P.: «Gli uomini martiri si alzarono in piedi da soli, si trascinarono dove voleva la folla si abbracciarono per consumare il martirio col santo rito di pace».
A.: «Tutti restarono immobili e ricevettero in silenzio il colpo di grazia dalla spada dei gladiatori. Perpetua colpita nel costato gettò un alto grido, poi da se stessa prese la mano di un gladiatore novizio e diresse la spada verso la gola. Forse una tale donna non poteva morire in altro modo, se non di propria volontà, tanto il demonio la temeva”. Papà, ascolta, il momento è arrivato… Sento che stanno bussando alla porta, e quasi l’abbattono…». E lui disse:”Vado ad aprire”
A.: «No,no apro io. Voglio che portino via chi attende di ricongiungersi allo sposo”.
Estratto dall’interrogatorio
Voce fuori campo: «Quinziano, proconsole della provincia di Sicilia, venendo a conoscenza della fama intemerata di Agata, vergine consacrata a Dio, con molta insistenza cercava come arrivare a leiarivando al punto di farla arrestare perché nata da nobilissima famiglia, mostrando così alla cittadinanza che era capace di sottomettere al suo volere perfino le persone più ragguardevoli».
I: «QuinzianoIn quanto idolatra e servo dei démoni, infiammato dalla sua empietà, non poteva neanche sentire il nome di Cristo. Così, avuta Agata al suo cospettole chiese_”Di che condizione ei tu?”
A.: «Non solo sono nata libera, ma di nobile famiglia, come attesta la mia parentela».
Q.: «E se attesti di esser libera e nobile, perché mostri di vivere e vestire come una schiava?».
A.: «Perché sono serva di Cristo, per questo mostro di essere schiava». Q.: «Ma se sei veramente libera e nobile, perché volerti far schiava?». A.: «La massima libertà sta qui, nel dimostrare di essere servi di Cristo».
Q.: «Così per te noi che disprezziamo la servitù di Cristo e veneriamo gli dei non disponiamo di libertà?».
A.: «La vostra libertà vi trascina a tanta schiavitù che vi fa servi di legni e di pietre».
Q.: «Tutto ciò che bestemmi con pazze parole sarà vendicato da una severa punizione! Perché disprezzi la santità degli dei?».
A.: «Non dire degli dei, dici piuttosto dei demoni. Demoni sono infatti questi, la cui immagine vi raffigurate in statue e le cui facce di gesso e di marmo coprite d’oro!».
Q.: «Scegli dunque, Agata, se incorrere nel dolore intollerabile dei supplizi o da sapiente e nobile, come la natura ti ha fatto, sottomettiti agli dei olimpici onnipotenti, che sono veri dei come dimostra la loro vera divinità».
A.: «Ti auguro che tua moglie sia tal quale la tua dea Venere e che tu come Giove,sia il suo dio».Q:” Non arrischiarti a offendere temeriamente chi ti è giudice
A.: «Hai detto che quelli sono i tuoi dei, quelli che la vera divinità dimostra esser tali: sia dunque tua moglie tal quale Venere, e tu come Giove, perché anche voi possiate essere computati nel numero dei vostri dei».
Q.: «Continui ad insultarmi con ripetute offese! Ciò significa che tu scegli i tormenti anziché la clemenza della legge!».
A.: «Mi meraviglio che tu, uomo saggio, sia giunto a tanta insipienza da stimare tuoi dei quelli la cui vita non vorresti fosse imitata da tua moglie, e da dire che ti consideri ingiuriato da chi ti augura di vivere secondo il loro esempio. Se infatti sono veri dei, bene ti ho augurato una vita simile a quella che essi conducono. Se poi hai in orrore la loro compagnia, sei d’accordo con me. E allora dillo chiaro che essi sono un così terribile esempio che volendo offendere qualcuno basta augurargli di esser come loro, tanto è esecrabile la loro vita».
Q.: «A che tutte queste parole? O ti sottometti agli dei o ti farò morire con vari supplizi!».
A.: «Se mi condanni alle fiere, queste, all’udire il nome di Cristo, si faranno mansuete. Se mi darai alle fiamme gli Angeli del cielo mi appresteranno rugiada di salvezza, se mi procurerai ferite con percosse, ho dentro di me lo Spirito Santo che mi darà forza di disprezzare ogni tuo tormento».
Q.: «Pensa bene e pentiti, così potrai sfuggire gli orribili supplizi che ti dilanieranno tutta».
A.: «Tu, ministro di Satana, tu pentiti!, così potrai sfuggire i tormenti eterni».
Q.: «Dal momento che mi confuti ad ogni parola va’ nel carcere, tra le tenebre, e subito!».
I: «Allora Agata, piena di fierezza, entrò nella prigione pregando Dio che l’assistesse sempre mentre resisteva all’autorità di Quinziano,malvagiamente intenzionato a farle ripudiare la sua fede. Il giorno dopo il Quinziano comandò che fosse ricondotta alla sua presenza e le dissse:”Che cosa hai deciso per la tua salvezza?
A:”la mia salvezzaè Cristo!”
Q.: «O infelice, fino a quando trascinerai questa tua follia? Rinuncia a Cristo e compi sacrifici agli dei! Provvedi alla tua giovinezza, evitando una morte atroce!».
A.: «Tu nega i tuoi dei, che sono pietre e legni, e adora il vero Dio, il creatore del mondo e della vita!”.
Q.: «E sia, allora, torturatela!… Tu, tu abbandona questo che dici tuo sposo e salverai la vita!».
A.: «Io in questi tormenti provo tanta gioia… Come chi sente una buona notizia, o come chi vede colui che da gran tempo ha bramato, o come chi trova molti tesori, così anch’io gioisco in queste sofferenze di poca durata. Infatti non può il frumento esser conservato nel granaio se prima il suo guscio non venga aspramente stritolato e ridotto in frantumi. Così l’anima mia non può entrare nel paradiso del Signore con la palma del martirio, se prima non farai dilaniare il mio corpo dai carnefici».Q:” Soldati,allora torturatela nel seno e strappatele una mammella
A.: «Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna ciò che ti nutrì nella madre tua?».
Q.: «Adesso riportatela in carcere e che nessuno si avvicini né le dia acqua o pane!».
I: «Dopo quattro giorni Quinziano diede ordine di condurla di nuovo in tribunale e le disse…».
Q.: «Fino a quando farai ancora la pazza? Fino a quando resisterai agli ordini degli imperatori? Sottomettiti agli dei se no, sappi che sarai sottoposta ad ancor più gravi tormenti».
A.: «Tutte le tue parole sono stolte, vane e inique, i tuoi comandi appestano perfino l’aria. Chi infatti vorrà invocare in suo aiuto una pietra e non il vero e sommo Dio e Cristo figlio suo».Q:”Osi ancora nominare Cristo?SoldatiSpargete a terra cocci taglienti e sotto i cocci carboni ardenti e rivoltatela sopradi essi!». I soldati obedirono inflissero ad Agata quella tortura che nessun essere umano poteva sopportare senza incontrare la morte per dissanguamento sopraggiunse all’alba del giorno successivo
Quinziano le sopravvisse un anno ma per lui quello fu periodo infernale in quanto speimentò la furia delle fiamme dell’inferno ardere indomabili nel suo cervello Infatti fin dal giorno dellla morte di Agata fu colpito da un rimorso furioso come la sete di un uomo smarritosi in un deserto.Cominciò a vaneggiare che la clessidra del tempo potese venir rivoltata all’incontrario e che lecrudeli azioni compiute nei confronti di Agata che pur in segreto amava potessero un giorno venire annullate con la motivazione che si era trattatodi comportamenti obbligatori da parte di un leale funzionario delo Stato romano.Inoltre prese a farneticare che Agata potesse risvegliarsi dal sonno della morte dalla morte come lo stesso Gesù Cristo e,secondo quanto riportava il Vangelo di Gioavanni,aLazzaro.Ma si trattava soltanto delle farneticazioni di un uomo che stava per impazzire disperato per il male che aveva fatto ad Agata ma la clessidra del tempo non si poteva rovesciare all’inocontrario e ciò che era accaduto non si poteva in alcun modocancellare. Fu così che venne in mente a Quinziano che solo la morte poteva liberarlo da quel tormento e siccome anch’egli aveva un’anima, forse come anima il Dio universale dei cristiani gli avrebbe concesso un po’ di requie dal suo tormento.Ma primaavrebbe dovuto morire.Ma non poteva togliersi la vitada solo suicidandosi per due importantissimi motivi: come soldato dell’impero romano il suo suicidio sarebbe tato un atto di slealtà verso di esso in quanto lo avrebbe privato senza un motivo valido di un suo eccellente funzionario e milite valoroso in combattimento.Inoltre il Dio dei cristiani non gli avrebbe perdonato di essersi tolto la vita che gli aveva donato facendolo nascere. Egli per lenire la sua insopportabile sofferenza poteva solo morire di una malattia che potesse procurarsi da se’ medesimo:ma quale? Con unagrave infezione avrebbe sofferto troppo divorato dalle cancrene.Unapolmonia mortale che poteva farsi venire immergendosi in un gelido fiume e poi esponendosi all’algida tramontana che spirava sull’Etna lo avrebbe fatto divorare dalle febbri e dallatosse rendendo penosissimoogni suo respiro.Egli aveva sentito dire che i cristiani insistevano sempre sull’evidenza della debolezza della carne che cercava solo il piacere e rifugiva quanto possibile il dolore e la sua non facevaeccezione.Così decise di morire provando il piacere di trovarsiin un sogno di conforto ma senza provare alcun dolore. Fu così che decise di ammalarsi di malaria,morbo che procurava un sonno senza fine e una morte dolce mentre dormiva.Un giorno salì a cavallo recando con sé tutto quanto serviva per cacciare e si diresse verso il pantano di Lentini una palude ricchissima di selvaggina .Ne itornò al suo palazzo con un grande bottino:pernici,fagiani coombacci quaglie,cinghiali,ma mentre infligeva la morte a questi animali senza che quasi se ne accorgesse le zanzare malariche l’infliggevano a lui che già durante le prime ore della notte era febbricitante,dopo un altro giorno fu chiaro a tutti che si tratava di malaria,Quinziano aveva febbrealta,dolore ai reni,a tutte le ossa,delirava e soprattutto non si nutriva proprio in quanto dormiva continuamente,.Non c’erano cure ed era palese la sua ininterrotta immersione nel mondo dei sogni. Accadde che sognasse di parlare con la sua martire Agata
Quinziano: «Nobile Agata, purissima tra le voci umane prima che la mia malvagità l’estinguesse, vorrei chiederti perdono prima di non poter più farlo Dimmi se ciò è possibile».
Agata: «Non è ammesso alcun perdono da parte mia perché questo può esserti concesso solo dal Dio che hai disprezzato pubblicamente. Posso però dirti che neppure al più turpe degli sterminatori è impedito di appellarsi al suo amore».
Q.: «Agata, ricordo bene la luce del tuo portamento, la bellezza che neppure il tuo abbigliamento da schiava, ostentato in disprezzo dei beni materiali, poteva impedirmi d’immaginare e stoltamente desiderare. Perverso e prepotente quale fui da vivo, osavo puntare su di te i miei occhi».
A.: «Il mio voto di verginità era noto a tutti. Avevo già uno sposo col quale avrei dovuto ricongiungermi dopo la morte. Ebbene tu non hai fatto che rendere più breve la mia attesa».
Q.: «L’attrazione verso la bellezza è umana, Agata. Puoi concedermi comprensione per questo?
A.: «L’attrazione reciproca di uomini e donne genera la vita e quindi è conforme alla volontà del Creatore, ma nel rispetto dei limiti che il pudore e la libertà gli uomini stabiliscono. Non è colpa desiderare col pensiero una donna libera ma è una grave colpa il tentativo di sopraffare con la forza schiacciante del proprio potere una donna sposata, per di più sposata con Cristo, qual ero io. E’ una gravissima colpa tentare di averla con l’inganno o la violenza. Un desiderio che resti puro pensiero non è colpa, non è nulla. Si disposto ad ammettere dele colpe?».
Q.: « Sono prontissimo ad ammettere di aver voluto umiliare il tuo sposo, costringendoti ad abiurarlo pubblicamente».
A.: «Quando presi i sacramenti sapevo che se durante la vita fossi incorsa nel martirio questo non avrebbe fatto che ricongiungermi più rapidamente al mio sposo. La brutalità di cui a suo tempo desti prova infligge ferite e dolori orribili, ma non distrugge la dignità. Anzi la esalta e più si accanisce più solleva le sue vittime al cielo».
Q.: «Fu solo la mia smania crudele di averti in mio possesso a muovere la mano che vergò l’ordinanza. Eppure quando mi giungesti di fronte ebbi la sensazione di poter salvare la mia dignità mettendo a tacere sotto una pietra tombale le mie turpitudini e applicando la legge con magnanimità. A quel punto avrei voluto salvarti, Agata, restituirti la libertà e rendere onore alla tua
famiglia, minimizzando il caso giudiziario e poi facendolo annullare del tuttoS se tu avessi accettato di sottometterti al vero dio Giove ti avrei restituito subito la libertà, compresa quella di pregare Cristo senza restrizioni, ma lontano dal mio sguardo di funzionario dell’impero. Ti chiedevo solo un atto formale. In fondo i nostri culti che coi cristiani chiamate pagani sono così vaggi,privi di spiritualità e superficiali che parteciparvi anchesotto gli occhi di tutti è appena e come pagare tasse statali e null’altro. Personalmente condividevo con altri il parere che voi cristiani avreste dovuto poter praticare il vostro culto alla luce del sole, come tanti altri popoli che pur condividono la ricchezza dell’impero…».
A.: «La ricchezza del vostro impero si basa sulla sottomissione dei popoli e sulla schiavitù. Tutto questo il cristianesimo non lo accetta. Per noi gli uomini sono tutti fratelli e nessun fratello può rendere schiavo il fratello».
Q.: «Abolire la schiavitù per amore del prossimo significherebbe la morte dell’Impero, che se vuol sopravvivere non può fare a meno degli schiavi… Ma questi sono discorsi e basta resta il fatto che tuAgata la vita potevi salvarla con un sopportabile atto di sottomissione. Cosa ti chiesi, infine? Se tu avessi compiuto quell’atto formale nessuno, a partire da me, l’avrebbe preso sul serio ma mi avrebbe permesso di scrivere negli atti della requisitoria: “L’imputata è libera perché si è ravveduta”. Dopo ciò avrei chiesto al Senato di poter lasciare Catania per un altro incarico».
A.: «Noi cristiani abbiamo tutti l’obbligo di testimoniare la fede ovunque sia necessario. Che ne sarebbe stato della nostra incrollabile certezza,crollabile come un ossente elefante,ma privo di zanne atte a offendere alcuno se mi fossi sottomessa pubblicamente ai tuoi dei, sia pure per sola apparenza, recitando la commedia di una donna che è due donne dallo stesso nome e in uno stesso corpo?».
Q.: «Credimi, Agata, io ti volevo veder sorridere ancora libera, felice della tua giovinezza”
A.: «Tutto questo lo sono comunque: libera, felice,eternamente giovane.
Q.: «Ora che non sono più tra i viventi come anche, per mia colpa, non lo sei tu ho tutto il tempo che occorre per ripensare ai miei misfatti. Avrei fatto bene a convertirmi alla tua religione per non provare l’immensa solitudine di adesso. Ma noi funzionari dell’Impero non potevamo convertirci pubblicamente e neppure in segreto perche’ anche l’aria l’avrebbe rivelato ai nostri superiori che subito ne avrebbero riferito al Senato il quale ci avrebbe consegnato alla vendetta dell’ imperatore Inoltre non potevamo convertirci a una religione diversa da quella olimpica anche perché eravamo stati istruiti all’idea della superiorità che ci rendeva unici, come gli dei. Pertanto non potevamo accettare di confonderci col popolo nei culti religiosi
A:”Ricordo che l’amore cristiano mi appariva come il mare che sommerge tutti gli individui, la mia fede è ragione di vita per ognuno: nessuno che si dichiari cristiano può agire in modo difforme dalle parole di Cristo, che ci proclama fratelli e sorelle nella nostra individualità. Siamo individui, non siamo una massa come un fiume il cui elemento ultimo e irriducibile è la goccia».
Q.: «Nobile Agata, le tue parole confermano che se un giorno il Vangelo dovesse prendere il posto dei nostri vecchi dei, per Roma sarebbe la fine. Oppure sarebbe un altro inizio. Torno a meditare nel silenzio che merito, ora che vorrei essere proprio la goccia di cui parli, senza che intorno vi sia un fiume dove scorrere anch’io, libero da me stesso che fui: dormire, non poter più vivere o morire una seconda volta, non poter neppure correggere gli errori né sanare i miei misfatti, ma sognare di poterlo fare ancora tuttochè Iddio non mi abbandoni in volo cieco nella muta oscurità della notte del tempo che fu e che sarà”.
Quinziano dopo aver meditato a lungo oppresso dai suoi fantasmi interiori disse:” Agata, vedo che si avvicina un’ombra. Da così lontano non posso veder bene e posso sbagliarmi ma mi sembra che si tratti di un uomo” Quando l’ombra gli fu sufficientemente vicina da poterne veder bene il viso Quinziano gli disse:”In questo luogo i cristiani vivono una seconda vita nella beatitudine,già si trovano Agata di Catania e suo padre che morirono per mia decisione in quanto cristiani fedeli al loro Dio d’amore,infinito e incondizionato.” Io diedi a entrambi la possibilità di salvarsi se avessero rifiutato la religione che avevano abbracciato per votarsi nuovamente alla mia, quella di Giove in cui credono o fingono di credere tutti i cittadini fedeli allo Stato romano Ma essi con la fierezza dei cristiani rifiutarono di rinnegare Cristo” l’ombra allora disse:” Io conoscevo Agata e suo padre per la loro fama di martiri cristiani. Essi erano vissuti duecento anni prima di me e come tantissimi cristiani della mia epoca ogni anno il 5 febbraio, anniversario del loro spplizio ne ho onorato la memoria. Il mio nome terreno era Euplio ed ero un diacono di Gesù Cristo nostro Signore ai tempi in cui imperava Diocleziano che si riproponeva di estirpare dal mondo fino all‘ultimo cristiano. Come Agata e suo padre fui arrestato da un funzionario di Roma , il procuratore Calvisiano il quale mi condannò alla decapitazione, promettendo di concedermi salva la vita se avessi abiurato Gesù Cristo ma io gli risposi:” Come diacono cristiano io ho sempre seguito il suo insegnamento del Vangelo, ho amato il mio prossimo e seguendo l’esempio di Agata, suo padre e d’infiniti di altri cristiani mi consegno alla lama del boia incurante che la mia testa rotoli nella polvere, sperando che una volta staccata la testa dal corpo la mia bocca possa ancora proferire, come talora accade ai decapitati per l’ultima volta il nome di Cristo!”