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malìa

Canto di za

Canto di zammara

 

Com’è la vita? Ora dolce ora amara. Chi ce la dona non si sa.

La Madre Terra ,che non è avara, lei di gran cuore ce la da’.

E anche le Stelle e la Luna cara oppure il Sole, eccellente maestà.

 

Anche in cent’anni la vita è assai breve, come durare dall’alba al tramonto.

Tale il liquore che lesto si beve, ma è così amaro nell’ora del conto: non c’è denaro che basti e si deve

sgombrare il campo, oh quale affronto!

 

 

Dammi retta, non fare del male

e il bene a chi vuoi,per prima a te stessa, pensa al presente, il futuro non vale!

Pari saranno servente e duchessa, plebe ignorante e gran corte imperiale, i peccatori e chi poi li confessa.

 

Pensate a vivere come potete

che come finisce di già lo sapete.

E quando sentite sul capo la rete gridate: “Ho ben vissuto!”. E ridete!

 

Scena I

Malva,Val Demone,Sicilia,1660

Duca di Malva: «Devo riconoscere in tutta onestà, caro diacono Eusebio, che non immaginavo esistessero in Sicilia dei luoghi così belli e alberati, come questa regione dallo strano nome, Val Demone. Sembra quasi il regno di Satana. Perché l’han chiamata così?».

Eusebio: «La cosa ha sorpreso anche me. Peccato non aver avuto il tempo di fare qualche ricerca filologica nella biblioteca del Sant’Uffizio. Non c’è dubbio che il nome Val Denone sia inquietante, di contro alla trasparenza delle altre due regioni amministrative della Sicilia, il Vallo di Mazara e quello di Noto. Tuttavia questa regione ha un nome più specifico, Monti Nebrodi, dal greco nebros, che vuol dire cerbiatto. Quindi Monti Cerbiatti».

D.: «Sicuramente è così. Là infatti ce n’è uno che si è appena affacciato. Presto, Armando e Pedro, inseguitelo e procurate carne di cerbiatto per il pranzo di oggi».

I due si lanciano con i moschetti, sui loro cavalli, a caccia del cerbiatto.

D.: «Eccomi qui,io sono il duca di Malva!Ah ah…… Che bel risultato per la mia carriera aristocratica!».

E.: «Non siete soddisfatto? E poi siete ancora giovane. Malva non è che l’inizio della vostra ascesa, signor Duca».

D.: «Speriamo sia davvero così. Se avessi potuto continuare a servire il nostro re nel viceregno del Perù, dove gli ho reso tanti bei servigi contro gli indigeni pagani e i fazenderos indipendentisti, sarei diventato ricchissimo e così potente da poter aspirare alla carica di vicerè. La colpa è mia, che ho soggiaciuto al mal d’Europa senza saper resistere alla nostalgia di questa parte del mondo e così ho dato modo al Re di compensarmi col più misero dei feudi del demanio reale. Duca di Malva. Cos’è Malva? Il più sperduto casale delle campagne siciliane!».

E.: «Secondo il detto, da cosa nasce cosa».

Si sentono alcune urla gutturali e spari di moschetto.

D.: «L’hanno preso. Vuol dire che oggi mangeremo carne di cerbiatto».

E.: «Eccola lì, Malva, dietro quella foresta. Certo è un piccolo paese accovacciato sotto il cielo. Non vedo né castello, né torri di guardia. E poi, la sua Patrona, Santa Luneide… Che strano, non ho mai sentito parlare né letto alcunché di questa santa. Dovrebbe essere di origine orientale,probabilmente greca, ma ho il sospetto che dietro vi sia il culto pagano della luna. Si dice che in Val Demone si preghino

 

contemporaneamente la Vergine Maria e la Sibilla, la Luna e le Stelle. Addirittura alcuni preti rendono omaggio in segreto anche al diavolo, pensando che questi era in fondo l’angelo prediletto da Dio e in quanto angelo, suo figlio, anteriore a Gesù Cristo, tanto da poter vantare dei diritti sull’Universo. Del resto anche la Chiesa riconosce che il diavolo mette alla prova gli uomini con il permesso di Dio. Pertanto qualcuno giuge alla paradossale conclusione che vi sarebbe una sorta di accordo implicito tra loro e che il principe del male serva Dio più efficacemente degli angeli e pertanto meriti grande rispetto».

D.: «Sono concezioni astratte, Eusebio».

E.: «Posso ben riconoscere che la dottrina del diavolo non è sta affrontata dalla Chiesa col rigore necessario e che neppure le bolle papali hanno fatto alcuna chiarezza in merito».

D.: «Tutti questi faggi e querce mi mettono inquietudine. A che servono? Tolgono soltanto calore al suolo. A suo tempo ne faremo legname per costruire navi. Lasceremo scoperta questa terra che non è stata toccata per secoli da mani contadine e ne faremo un granaio con cui potrò costruire un castello qui a Malva e un bel palazzo ducale a Palermo».

E.: «E come pensate di coltivare la terra che otterrete dal disboscamento? Questi contadini sono mezzadri, che producono quanto basta per le loro famiglie, più l’eccedenza a beneficio del re e della Chiesa. Gente nata povera e che tale vuole restare. Lavora non più di qualche mese l’anno e per il resto è abituata a oziare senza industriarsi a fare più di quanto occorra per sopravvivere».

D.: «E cosa fanno durante il tanto tempo libero che gli resta?».

E.: «Si godono i diritti consuetudinari di far libera caccia e legna nei boschi, raccolgono i frutti spontanei che con questo clima mite certo non mancano. Poi gli uomini vanno in taverna, giocano a carte e a dadi e trincano vino, mentre le donne si occupano della casa e delle piccole occupazioni domestiche».

D.: «Suppongo che vengano praticati anche riti magici pagani ed evocazioni di Satana, che preferisce i boschi ai campi aperti dello spirito che vede le anime».

E.: «Ogni tanto il vostro spontaneo misticismo mi sorprende, signor Duca. Siete stato avventuroso e devotissimo, spietato difensore delle proprietà reali contro gli indios e i fazenderos del Perù, eppure pensate di sovente al futuro della vostra anima».

D.: «Mi avete fatto venire in mente la cattedrale Quixo, la più grande e sfarzosa del Perù dopo quella di Lima, frutto dell’ingegno dell’architetto Alvarez, ma anche

 

della mia spietatezza, ché seppi trasformare in manovali-schiavi gli indios fannulloni che ronzavano attorno alla città .Inoltre mi feci dare con le buone o le cattive le somme che occorrevano dai fazenderos e dalla borghesia cittadina, dai poveri e dalla Chiesa stessa. Ricorda, Eusebio, una grande opera che sarà ammirata dalle generazioni future, forse per secoli, richiede la massima ricchezza, concentrata in poche mani e la miseria estrema.Occorrono uomini che vedano lontano nel futuro e sappiano decidere quali misure occorrano per arrivarvi, usando qualsiasi mezzo serva allo scopo. Cosa fanno questi contadini liberi di Malva? Non son buoni a nulla! Non sono stati neppure capaci di coltivare a dovere i loro terreni e passare dalla condizione di mezzadri a quella di liberi fornitori reali, ciò che li avrebbe resi ricchi, anche se avrebbero dovuto lavorare con maggiore impegno e Malva non sarebbe stata più quel fondo rancido di bicchiere che è ancora adesso. Tu ritieni granchè degna di rispetto questa libertà?».

E.: «Se non contraddice la lettera e lo spirito del Vangelo la reputo senz’altro rispettabile».

D.: «Lasciate stare le Sacre Scritture, che nella vita quotidiana servono a ben poco e ditemi se non rimpiangete quante cose che ci sopravvivranno abbiamo realizzato in Perù con gli indios trasformati in perfetti lavoratori».

E.: «Morivano come mosche,certo, ma hanno compiuto grandi opere che dureranno nei secoli gli edifici pubblici, i palazzi aristocratici, le chiese, la Cattedrale».

D.: «Servimmo Nostro Signore quando adoperammo ogni mezzo per piegare la volontà degli indios e della borghesia indipendentista per fare grande la Spagna e affermare il primato assoluto della nostra religione su ogni altra e massimamente sull’idolatria. La menzogna sistematica e la tortura sono ben giustificate quando Nostro Signore si trova davanti un agguerrito schieramento di demoni. Né pietà né verità possono averla vinta contro tanta malizia e allora i processi per stregoneria, la corda, la mannaia e i roghi sono armi necessarie e sante».

E.: «Sono anni che cerco di convincermi che è proprio così, ma non sempre ne sono certo».

D.: «Smettete di dubitarne, diacono Eusebio. Abbiamo fatto cose grandi, siatene orgoglioso, e altre dovremo farne qui a Malva».

E.: «Voi assimilate questi contadini cattolici, almeno di nome, agli indios del Perù?».

D.: «Avete notato come lungo il percorso non abbiamo notato un solo altarino sacro e invece tanti segni strani, indecifrabili?».

 

E.: «Roba da pastori, limiti di pascolo».

D.: «Perché non usare altarini sacri?».

E.: «Retaggi di età arcaiche, quando non dico il cattolicesimo, ma neppure il paganesimo avevano messo piede da queste parti».

D.: «Non sarà una spiegazione del nome Val Demone?».

E.: «Mi sembra probabile».

D.: «Credetemi, Eusebio: qui a Malva c’è il demonio. Il nostro amatissimo Re non ha fatto alcuna fatica a compensarmi con feudo che nessun altro vuole. Ebbene, accetteremo la sfida, trasformeremo Malva fin dal nome, per esempio in San Pietro in Val Demone, e lo faremo diventare un grande centro pulsante di cristianità, commercio di grani pregiati e altro. I contadini dovranno scegliere se lavorare per la grandezza di Malva o venir liberati, a costo della vita, dalla presenza del diavolo. Capite ciò che voglio dire, Eusebio?».

E.: «Siamo in bilico tra salvezza e perdizione,signor Duca».

D.: «Ho già riflettuto sulla faccenda e sono giunto alla conclusione che ci serve al più presto di individuare una strega vera, che di sicuro c’è e noi la troveremo, e una voce dell’innocenza, che ci aiuti a costruire l’accusa, sempre che i contadini oppongano resistenza ai miei disegni».

E.: «Intendete certo riferirvi alla vostra antica tecnica del Vaso di Pandora: scoperchiare i segreti del paese, portare alla luce gli odi, le rivalità, i rancori, i desideri di vendetta che tutti normalmente covano nei confronti di tutti, esaltare al massimo la potenza negativa di ciò fino a far sognare il ritorno della pace, a qualsiasi prezzo».

D.: «Qualche rogo, non molti, sanciranno la purificazione del paese e la sua successiva pacificazione. Una strega, almeno una, ce la faremo a trovarla, no?».

E.: «Certo, signor duca, non c’è da dubitarne. Le streghe esistono davvero e le troveremo».

D.: «Ce l’avete ancora quel libro… non ricordo il titolo…».

E.: «Il Malleus Maleficarum,di Sprenger e Institor. Si può dire che lo conosca a memoria».

D.: «Bene, diacono, mettiamoci all’ opera».

 

Scena II

 

 

Di notte, in una piana agreste con vegetazione bassa, sotto la luna:

Zammara:    “Oh luna chiara

che a notte sei accesa se ti nascondi

il buio come pesa oh luna cara

io sono in tua attesa oh luna piena

che allevi la pena oh luna bella

che riempi la cesta d’erba lunatina

e fioridistella.

 

 

Polimena: «Zammara, Zammara, sei una straordinaria cantante… sottovoce!». Z.: «Vuoi che canti a voce di petto? Che svegli tutto il paese?».

P.: «Facciamolo qualche volta, Zammara! Svegliamo tutti!». Z.: «Sei forse pazza, Polimena?».

P.: «Ma sì, Zammara, sono pazza, pazza, pazza! Riesco a essere pazza di felicità soltanto quando sono con te, che sei la mia seconda mamma».

Z.: «Tu lo sai che tutti mi chiamano mavara, cioè strega?».

P.: «Ma se tutti ti vogliono bene? Se tutti vengono a chiederti continuamente responsi di ogni genere e come ne tengono conto! Quando mi sposerò? Come sarà il raccolto quest’anno? Mi conviene comprare il mulo di Mastro Cantricò, che è a buon prezzo ma dicono malato?».

Z.: «Lo so che mi vogliono bene, perché qui a Malva c’è la magia rossa dell’amore e della vita che, per breve che sia, si vuol godere fino all’ultimo istante. Così non ci sono vecchi o anziani, ma ostinatamente giovani».

  1. (girandole intorno): «Zammara è una mavara! Zammara è una mavara! La mamma è una mavara! La mamma è una mavara!».

Z.: «Oh, smettila, Polimena, non fare la bambina!».

 

P.: «Ma io sono una bambina!».

Z.: «Una bambina di ventitre anni?».

P.: «Mammina, io mi sento una bambina, che posso farci? E poi sono felice qui e ora, sotto la luna, con te, libera da tutte le noiose occupazioni del giorno, che ci porta solo stracci da lavare, pentole da far bollire, le scope per… Le scope per volare?».

Z.: «Ma no, la mia bambina che crede a queste fantasticherie, che le scope posson farci viaggiare velocemente da Palermo a Messina o a Catania… E invece, Polimena, posson farci soltanto cadere per terra se il manico si spezza all’improvviso, come mi è capitato una volta… Un capitombolo che quasi mi rompevo il naso, una buona occasione per farmi il naso aquilino da strega!».

P.: «Io devo parlarti, Zammara. Tutti insistono che devo cercarmi un marito. Ma io mi sento troppo bambina.E poi ci sono quegli attacchi,quando mi sento così strana,come posseduta da non so che e so di non essere me stessa, di fare e dire cose che non voglio,di comportarmi come una pazza che poi non ricorda nulla di ciò che ha fatto.Come posso avere un marito in queste condizioni?”

Z.: «Devi aver fiducia nell’esorcismo razionale che facciamo di notte con don Nicola e gli altri nella Matrice».

P.: «Io li ringrazio il protomedico Intraleo, il cerusico Porzio e il sarto Filistella e naturalmente te e don Nicola per quanto fate nei miei confronti e tuttavia non ho l’impressione che si produca alcun risultato. I miei attacchi sono diventati più frequenti di prima, nonostante le numerose sedute che abbiamo fatto, e non so se valga la pena di continuare».

Z.: «Il tuo esorcismo è davvero speciale perché unisce la tradizione religiosa, la scienza medica, la medicina e la poesia, unita alla mia magia rossa, la magia della vita, che porta l’allegria e il beneficio, mai il maleficio. Non abbiamo notizia che qualcosa di simile sia stato fatto altre volte ed è per questo che forse qualcosa non funziona. L’esperienza è troppo nuova e certamente possiamo compiere degli sbagli, ma in essenza sento che la strada è quella giusta e che dobbiamo continuare. E tu comincia davvero a cercar marito».

P.: «Ma non sono gli uomini che devon cercare le mogli? Che dovrei fare?».

Z.: «Beh, quello che le donne han sempre fatto. Stendere la biancheria negli orari in cui gli uomini vanno nei campi o ne ritornano».

P.: «Non mi piace nessuno qui a Malva».

 

Una figura compare all’improvviso nel campo, don Nicola.

dN.: «Ehi, Zammara, Polimena… Sono don Nicola… Sono venuto a cercarvi… Ero sicuro di trovarvi qui, per le lumache nottambule. Ne avete trovate?».

Z.: «Non sarete venuto a cercarci per questo? Comunque non ne abbiamo trovate.

Finora abbiamo solo chiaccherato».

dN.: «Devo dirvi una cosa che non sapete. Domani arriverà in paese il nuovo Duca di Malva. Di lui sappiamo che ha avuto in feudo il paese e tutto il suo territorio fino al mare come premio per aver difeso gli interessi del re di Spagna in Perù, servendosi di un tale diacono Eusebio, che è demonista spietato e ambizioso, che lui usa come ecclesiastico inquisitore e testa d’ariete contro i nemici».

Z.: «Abbiamo da temere qualcosa?».

dN.: «Non conosco i suoi piani, ma non c’è dubbio che cercherà di assoggettare Malva a un regime coloniale, distruggendo le nostre antiche libertà e i diritti comunitari di cui abbiamo goduto da sempre».

Z.: «Perché avete corso il rischio d’esser visto venendocelo a dire nel campo della Spinosa?».

dN.: «A nessuno degli abitanti di Malva importa che di notte raccogliate le erbe lunatiche o le lumache nottambule, e nessuno mostra d’interessarsi alle nostre riunioni notturne nella Matrice per guarirti, Polimena. Ma se al diacono Eusebio facesse comodo trovare delle streghe a Malva, voi sareste le prime della sua lista. Senza dubbio cercherà di scoperchiare i nostri segreti e fare in modo che tutti gli odi, i rancori, i dispetti, le stupide rivalità che si sono accumulati da quando fu posta la prima pietra vengano a galla tutte in una volta, sì che ognuno diventi il Caino del proprio fratello».

Z.: «Credete davvero che possa succedere questo? Nella mia vita già lunga non ricordo nulla di simile a Malva tranne qualche baruffa da bettola».

dN.: «Oh, mie sante donne, il mondo è quel che è, dovreste saperlo. Cristo si è fatto uomo per purificarlo, ma forse l’impresa era troppo grande anche per lui, almeno da compiere in una sola volta, e così dovrà tornare per completarla, il giorno del Giudizio Universale. Ma noi apriamo la porta alla tempesta e aspettiamo che passi. Ricordate ciò che vi dico, ricordatelo nei momenti più difficili,che certo ve ne saranno: l’ora più buia è sempre quella prima dell’alba».

 

Scena III

 

 

Il diacono Eusebio bussa alla porta della canonica. Don Nicola gli apre: E.: «Buona giornata nel nome di Gesù Cristo, don Nicola».

dN.: «Buona giornata a voi che conoscete il mio nome, ma io non il vostro».

E.: «Mi presento, buon parroco. Io sono il diacono Eusebio, prefetto speciale itinerante del Sant’Uffizio per la conforme conoscenza del Verbo di Nostro Signore presso le popolazioni indie di recente cristianizzazione recente e plenipotenziario del Duca di Malva, a cui Sua Maestà il Re di Spagna ha affidato il vostro sito abitato e il territorio di pertinenza dai boschi al mare con legato perpetuo ereditario».

dN.: «Siete il primo ad avvisarcene, Vostra Eminenza. Siamo così dimenticati dalla storia che avremmo potuto ritrovarci di fronte al signor Duca e a voi stesso senza neppur saperlo e senza quindi potergli rendere i dovuti omaggi».

E.: «Queste vostre parole denotano grande consapevolezza del vostro ruolo di intermediario tra gli obblighi religiosi e quelli che si hanno verso l’autorità laica».

dN.: «Perdonate la mia ignoranza, le cui cause di certo vi risultano chiare, ma non sono aggiornato della vostra carica prelatizia di prefetto itinerante».

E.: «È stata introdotta diversi anni fa dal Sant’Uffizio,a conclusione del Concilio di Trento,nel 1563,quindi quasi cent’anni fa, per poter meglio seguire le vicende della cristianizzazione delle Indie occidentali, che sono rappresentate da spazi enormi, dove vigono ancora, di nascosto, usanze, superstizioni e demoni pagani. In quelle terre v’è altresì una costante carenza di personale ecclesiastico validamente preparato che eviti pericolose commistioni tra pensiero pagano e cristiano. È per questo che sono nati i prefetti itineranti per le Indie occidentali, col potere di valutare la preparazione dei sacerdoti,di condurre inchieste demonologiche e impiantare processi per stregoneria. È lì che ho conosciuto il Duca di Malva e che ho operato di concerto con lui per sradicare eresia e stregoneria locale. Negli ultimi anni tuttavia, a seguito di numerose inchieste compiute nelle zone rurali più distanti dalle principali aree urbane europee il Sant’Uffizio ha avuto modo di riconoscere una netta reviviscenza di usanze pagane, demoniache e stregonesche che sembravano sopite da secoli, spesso con la complicità, vuoi per ignoranza, vuoi per debolezza verso i parrocchiani, dei ministri della fede locali. Per questa ragione ha

 

istituito un corpo di prefetti itineranti a libera giurisdizione, senza vincoli continentali. Ed è per questo che ora sono qui».

E.: «Don Nicola, cosa mi dite della presenza del diavolo a Malva?».

dN.: «Non mi risulta che ve ne sia traccia in paese. Non ho mai sentito parlare di nulla di simile che ci riguardi».

E.: «Eppure mi consta, da relazioni fattemi pervenire dal Sant’Uffizio di Palermo, che qui, in Val Demone –il nome, ne converrete, è già per se stesso inquietante- e probabilmente anche qui, a Malva, il diavolo abbia i suoi adepti, i suoi ammiratori, le sue Messe Nere, i suoi negromanti e fattucchiere, con la compiacenza di un clero molto condiscendente, se non del tutto colluso con questa variegata folla di ammiratori dell’Anticristo. Voi dunque ribadite di non saper nulla?».

dN.: «Mi risulta che gli abitanti di Malva sono cattolici, devotissimi a Gesù,a Maria e alla Santa Madre Chiesa. Altro non so dirvi».

E.: «Accolgo quanto mi dite come espressione della vostra sincerità, ma spero non ve ne avrete a male se compirò delle indagini in merito per conto del Sant’Uffizio e del Duca di Malva».

dN.: «Oh, naturalmente no, espletate ciò che il vostro ministero v’impone con assoluta serenità. Vi assicuro che farò del mio meglio per agevolare il vostro lavoro».

E.: «Ve ne ringrazio. Aggiungo che il signor Duca di Malva mi ha comandato di comunicarvi che domenica mattina vuole che tutti gli abitanti di Malva si presentino alla masseria ducale, per fare un importante discorso a loro beneficio. Fate che non manchi nessuno».

P.: «Sarà fatto».

 

 

 

Scena IV

 

 

Tutti gli abitanti di Malva si recano presso la masseria ducale. Il Duca è affacciato al balcone che domina il vastissimo recinto normalmente riservato alla custodia e al pascolo degli animali, affiancato dal diacono Eusebio. Tra la folla campeggiano Zammara e Polimena che improvvisano, avanzando, una danza primitiva a carattere augurale. Continuano anche quando sono sotto il balcone.

  1. E.: «Ma che fate voi due? Smettetela».
  2. (fermandosi): «È una danzetta augurale per i nuovi signori di Malva».

 

d.E.: «Smettetela lo stesso». Le due si fermano.

D.: «Popolo di Malva, io Antonio Delgado Curial,sono Duca di questa cittadina per volontà dell’Eccellentissimo Re di Spagna, che mi ha affidato questo territorio in feudo per i meriti che acquistai nelle Indie Occidentali, difendendo i legittimi interessi della Corona. Nel mio lungo soggiorno in Perù e per l’intensa attività che vi ho svolto, ho avuto modo di conoscere forme di organizzazione agraria radicalmente diverse da quelle europee e che permettono rese produttive di gran lunga superiori alla mezzadria, la quale vi fa credere di godere d’un minimo benessere, che in realtà scontate con la più cruda povertà. Io vi chiedo di rinunciare al vostro modo di vivere abituale, abbandonando le vostre miserrime abitazioni disperse in un vasto territorio soggetto alle razzie dei banditi. Occorre unificare le abitazioni in due o più grandi edifici che costruiremo nella spianata della masseria ducale. Qui uomini e donne vivranno separati per qualche anno, pur potendosi incontrare per qualche ora la sera, rinunciando ai rapporti carnali perché i bambini qui a Malva sono già presenti in buon numero e per il momento non sono augurabili ulteriori incrementi di popolazione…».

Z.: «Ma signor Duca, che tanto ci siamo rallegrate di voi ballando, il sopraesotto tra uomo e donna non si fa soltanto per fare i figli, si fa perché piace, sia all’uomo che alla femmina appassionata dell’amore!».

D.: «Non osate interrompermi più,screanzata,o vi farò imparare l’educazione a frustate!».

  1. (ridendo): «Scusate tanto, signor Duca».
  2. a Eusebio: «Chi è, la demente del villaggio?».

E.: «Sarà di certo una pazza incallita. La fortuna ci viene incontro. Ecco una strega vera».

D.: «Ogni mattina gli uomini andranno a lavorare tutti insieme nei campi assegnati sotto la guida dei capilavoro, che faranno in modo di esaltare al massimo le loro capacità produttive. Dovrete fare dei sacrifici, privarvi delle cosiddette libertà consuetudinarie, perdere il diritto di libera raccolta di frutta e legnatico, nonché rinunciare ai mulini privati. L’unico abilitato alla macinatura dei grani sarà quello della masseria ducale, che avrà una tariffa ben determinata. Per qualche anno il riposo domenicale sarà abolito e si lavorerà tutti i giorni dell’anno a eccezione dei giorni sacri di Natale e Pasqua, dall’alba al tramonto, in perfetta armonia. Un giorno sarete compensati con la piena proprietà privata delle terre che coltivate. Diverrete

 

liberi fornitori del Duca di Malva che a sua volta fornirà di derrate essenziali le grandi città del viceregno di Sicilia. Così Malva, da paesuccio appollaiato su un cocuzzolo diverrà una vera città, in connessione con un importante approdo marino che costruiremo nella parte di costa che ci appartiene. Naturalmente i maggiori benefici saranno goduti dalle generazioni future, dai vostri figli e nipoti, e neanche io di certo vivrò abbastanza da apprezzare in pieno i risultati di questo progetto, ma mi piace l’idea di cominciarne a vedere qualche frutto».

Z.: «Signor Duca, la vita è breve, è un lampo, un soffio e i frutti, dopo che maturano, impiegano un’ora per marcire. Perché privarci di questa bella vita che viviamo da sempre, con le sue nuvole e acquazzoni, quando ci sono, ma anche tanta aria fresca di libertà, di vita! Vivere costipati dentro grandi costruzioni con gli uomini separati dalle donne? Ma noi non ce lo sogniamo neppure, signor Duca!».

D.: «Voi continuate a insolentirmi con le vostre interruzioni, villana che non siete altro! Evidentemente reputate, e non a torto, che abbia riluttanza a far somministrare delle salutari frustate a una donna, sia pure laida come voi! Ma c’è un limite a tutto! Intanto, ditemi: ritenete di esprimere un pensiero comune?».

Z.: «Sì, signor Duca, sì, tutta Malva la pensa come me!».

D.: «E voi abitanti di Malva, ritenete che questa donna esprima veramente il vostro pensiero».

Un coro di sì e di “Viva Zammara”.

D.: «Ma non c’è proprio nessuno che provi interesse per il mio grande progetto?». Coll.: «Noi, signor Duca, noi! Noi vogliamo collaborare con voi!».

D.: «Chi siete voi?».

  • : «I poveri più poveri di Malva. Benché qui siam tutti poveri nessuno è più povero di noi, nessuno!».

D.: «Convenite che il mio progetto potrà condurvi dalla miseria estrema a condizioni meno dure e poi all’agiatezza?».

  • : «Ne conveniamo, signor Duca, potete considerarci dei vostri».

D.: «Vi rendete conto che per avviare questo grandioso progetto, che alla fine permetterà la vostra trasformazione da mezzadri a quelli che in Perù si chiamano fazenderos, cioè proprietari di terreno e bestiame, occorrerà tagliare i tre quarti dei boschi, che vi danno diritto al legnatico, ma toglie spazio alle coltivazioni e rende l’aria troppo umida per lo sviluppo di coltivazioni pregiate?».

  • : «Dei boschi non c’importa nulla! A noi interessa il pane!».

 

D.: «Com’è ben noto i boschi sono la dimora principale delle forze ostili a Nostro Signore, dagli spiriti maligni ai demoni. E io intendo che Malva abbia non una chiesa madre e neppure una cattedrale ma una basilica intitolata al fondatore della Chiesa di Nostro Signore, San Pietro in Val Demone e si faccia fama di paese cattolicissimo, dove nulla ricordi la pur incombente presenza del demonio nella nostra vita. A tal fine porremo subito in opera quanto detto».

Z.: «Noi che siamo di Malva e non questi accattoni senza terra che dicono di voler collaborare con voi e a cui forse abbiam commesso l’errore di dare un’ospitalità che non meritavano, tanti anni fa, quando furono cacciati dalle loro terre non so dove e qui trovarono asilo e qualcosa da mangiare, pur restando i più poveri, ma questa non fu colpa nostra, ebbene noi ci rifiutiamo a questa novità!».

D.: «La vostra bocca meriterebbe d’essere cucita con fil di ferro, vecchia laida che vi arrogate il diritto di parlare a nome dei più antichi abitanti di Malva! Potrei facilmente verificare se voi rappresentate effettivamente il parere di questi vostri compaesani o esprimete solo vostre convinzioni. Ma io credo che comunque una simile opposizione a un’idea così chiara e lineare, così positiva e concreta per un grande destino di questo territorio non possa che essere opera del diavolo, che può servirsi di una sola di voi o di molti, per ostacolare l’avvento di un’epoca di luce. Il nome di questa regione è Val Demone e questo deve pur significare qualcosa. E’chiaro che il diavolo considera il Val Demone come il suo ridotto contro il regno di Cristo ed è pronto a opporsi con ogni mezzo a qualsiasi cambiamento del presente, perché teme che ciò possa rapidamente costringerlo alla fuga. Da ciò è facile concludere che la stregoneria c’è qui in Val Demone e a Malva. Pertanto do’ al diacono Eusebio mandato di avviare un’indagine sulla presenza del demonio in paese e di creare un tribunale per la più severa punizione dei suoi adepti. Io stesso istituisco fin d’ora una distinzione tra collaboranti volontari, che premierò in tutti i modi possibili, e gli obbligati, che dovranno partecipare d’imperio all’impresa ma senza i benefici che diversamente gliene deriverebbero. I primi potranno rivolgersi a me in ogni circostanza, certi che non lesinerò loro il mio aiuto e potranno contare su miei sostanziosi doni speciali, frutto di collette garantite dalla mia persona in occasione di nascite e matrimoni. Chi vuole appartenere a questo gruppo si sposti verso il muro di cinta».

 

Un piccolo nucleo di collaboratori si sposta verso le querce. Il Duca dice al diacono Eusebio di cercare il parroco, a cui ordina di nominare ad alta voce le famiglie presenti:

«Ascanio, Travaglieri, Trivoliti, Ascone, Marca…».

E il Duca: «Bene, avete fatto la scelta della fede. Aiutatemi a estirpare il demonio da Malva».

 

 

 

Scena V

 

 

Il diacono Eusebio ha convocato don Nicola a colloquio privato nella canonica della Matrice.

d.N.: «Son qui, davanti a voi, con tutta l’umiltà che il mio ministero prescrive nel presentarsi a prelati di grado superiore”.

E.: «Sapete bene quale immensa responsabilità vi compete. Se il pastore delle greggi agisce per il bene comune nel nome dell’amore di Cristo, quantunque possa andare incontro al martirio, sarà sempre un santo da imitare, una luce per l’intera comunità, ma se fallisce nel suo ministero, se inganna se stesso e i suoi diocesani, se tenta senza successo d’ingannare Dio e la Santa Madre che l’ha generato e Gesù Cristo, che si è fatto uomo ed è morto per la sua redenzione, allora va considerato Satana in persona… Come il frate francescano Diego La Matina, due anni fa, ricordate?».

d.N.: «Qui siamo troppo fuori dal mondo per conoscere quello che accade altrove… Ma se non sbaglio accadde a Palermo ».

E.: «Ricordate bene, don Nicola, accadde proprio a Palermo ,due anni fa… Fu terribile, certo, ma anche un’apoteosi di penitenza e redenzione».

d.N.: «Avrei interesse che me ne parlaste».

E.: «Perché no? Fra’ Diego La Matina per alcuni era un sant’uomo per altri uno di quei tanti ecclesiastici ambigui, devoti tanto a Dio Onnipotente quanto al demonio. Alla fine prevalsero le opinioni in questo secondo senso, anche perché il frate, che sembrava aderire troppo al dettato di San Francesco, provocava forti risentimenti perfino nei suoi confratelli. Quando fu convocato all’autodafè egli sapeva per certo che sarebbe stato condannato al rogo e volle fare quanto di meglio potesse per rendere memorabile l’evento. Indossato il sambenito giallo e la tiara dello stesso colore, entrambi decorati con demoni, sembrava proprio un papa diabolico. Al vespro, quando si mosse dal palazzo della Santa Inquisizione, si dipinse sul viso una

 

magnifica espressione di dolore e pentimento, quale nessun attore avrebbe mai potuto assumere. Sapeva che per assistere al rogo eran giunti penitenti da tutta la Sicilia e molti avevano comprato posti in piedi in cambio di indulgenze speciali, sotto il tablado, dove su poltrone e sgabelli dorati con cuscini di velluto rosso sedevano i maggiori titolati della nostra isola e il vicerè, con tutti i loro servi recanti gonfaloni gentilizi. Quando all’Ave Maria giunse sul posto, il Consultore del Sant’Uffizio lo degradò pubblicamente. Sapete? Fra’ Diego era stato appena condannato al rogo quando il Consultore si avvicinò e su suo cenno si vestì come per la celebrazione della Messa e prese in mano il Vangelo.Ma quello subito glielo tolse dicendo “Amovemus te potestatem legendi Evangelium in Ecclesia Dei”, cioè “Ti priviamo della potestà di leggere il Vangelo nella Chiesa di Dio”. Poi gli tolse la stola, segno della facoltà di confessare, e disse “Stolam te candida amovemus”, “Rimuoviamo la stola candida”. Quindi gli diede il libro degli esorcismi e glielo tolse. Gli mise in mano le chiavi e subito le riprese. Degradato salì sulla pira di legno, il rogo venne acceso e la sua espiazione brillò come la più fulgida stella notturna agli occhi di Dio, magnifico spettacolo di purificazione. La confidenza avuta privatamente da molti presenti col demonio bruciò con lui,che divenne ammonimento e speranza di redenzione per tutti».

Don Nicola china la testa.

E.: « Pensate di potermi aiutare nella caccia contro il diavolo e soprattutto ad accusare la più sicura strega che esista, Zammara?».

d.N.: «Chi accusa le streghe non ne ha paura». E.: «Cosa volete dire?».

d.N.: «Può essere che l’inquisitore non creda che si tratti davvero di una strega».

E.: «Caro parroco, io sono certo che Zammara sia davvero una strega, ma stimo la forza dell’Onnipotente infinitamente superiore ai suoi poteri e pertanto intendo combatterla. Sono certo che siete d’accordo che negare la perenne battaglia tra Dio e Satana, come pure la realtà della stregoneria sia la peggiore delle eresie».

D.N.: «Senza dubbio è così. Ho sempre creduto nella realtà del demonio e della stregoneria. So che esistono e sono potentissimi e mi offro a voi per combatterli secondo le mie capacità».

E.: «Adesso, se permettete, don Nicola, vorrei discutere con voi su alcune questioni teologali riguardanti la figura del demonio».

d.N.: «Sono pronto a rispondere alle vostre domande».

 

E.: «Come ben m’insegnate, Lucifero, che fu l’angelo prediletto da Dio, ne condivide alcune qualità: ad es. l’onnipresenza. V’è secondo voi un luogo al mondo abitato o inabitato dall’uomo in cui Dio e il demonio non siano presenti a fronteggiarsi per tutta la durata del tempo?».

d.N.: «Un posto del genere chiaramente non esiste. Essi si combattono ovunque, nelle città come nelle terre desertiche».

E.: «Avete risposto correttamente. Secondo voi Satana è potente come Dio?».

P.: «Dio è per definizione onnipotente, perché l’onnipotenza è una perfezione e a Dio pertengono tutte le perfezioni».

E.: «E il diavolo, allora? Se sapesse di dover essere sconfitto sempre, a che gli varrebbe competere con Dio?».

d.N.: «Nella sua onnipotenza Dio ha voluto che il diavolo potesse coltivare la speranza d’averla vinta su di lui, lasciandolo vincere spesso, in modo da non scoraggiare la competizione. In effetti il diavolo vince solo quando Dio glielo consente. Ma anche questo è necessario, perché è il diavolo che mette alla prova gli esseri umani, consentendo a Dio di discernere quale dei suoi figli sia meritevole della gioia eterna e quale, per la sua indole malvagia, allontanare da sé per sempre».

E.: «Secondo voi, don Nicola, il diavolo vuole deliberatamente il male? Vuole che il male s’instauri nel mondo scacciandone il bene o che altro?».

d.N.: «Satana è l’avversario di Dio e pertanto usa qualsiasi mezzo per contrastarne l’egemonia nel mondo. Quindi si serve del male per contrastare Dio. Ma non è il male in sé il suo fine, bensì la cattura delle anime attraverso le lusinghe del male. Con ciò dico che l’oscillazione pendolare tra il bene e il male è insita nell’uomo e che Satana attira le anime verso di sé lusingandole con il libero esercizio del male a cui esse aspirano. Dunque non il male è il fine di Satana, ma il possesso delle anime».

E.: «Mi sembra una chiara riabilitazione di Satana, che consiste nell’accreditargli il male solo in forma subordinata al vero fine, che è quello d’attirare a sé le anime, che è, sì, lo stesso di Dio. Secondo questa vostra concezione Dio e il diavolo sarebbero motivati dagli stessi fini, distinguendosi solo per la fattispecie delle lusinghe, che sono quella di agire secondo bontà ovvero malvagità».

d.N.: «Lusinghe assai forti sull’animo umano, che è tentato da entrambe, la bontà e la malvagità. Ciò salverebbe in pieno il libero arbitrio».

 

E.: «Ma qui abbiamo una doppia contraddizione: un Satana non cattivo, ma solo abile mercante, e l’uomo invece, così cattivo in nuce, da risultare non la prima creatura di Dio, ma l’ultima, in quanto l’unica di cui si possa dire con certezza che le sue cattive azioni non sono dettate dall’istinto o dalla necessità ma dalla volontà di procurarsi piacere facendo del male. Può Dio aver creato un essere che ambisca al male di per sé e non per l’inganno costante di chi il male lo vuole deliberatamente?».

d.N.: «Vi ho solo espresso delle mie libere opinioni, monsignore».

E.: «Sono alquanto singolari, don Nicola, molto discoste dal pensiero ufficiale della Chiesa, ma non nego che esse meritino di venir discusse presso una scuola di Teologia.. Riprenderemo l’argomento a suo tempo».

Don Nicola si congeda rispettosamente e si allontana.

 

 

 

Scena VI

 

 

La stanza più grande della masseria ducale è stata trasformata in un’aula tribunalizia, dove il diacono Eusebio, davanti al duca, ai suoi sgherri e a un folto pubblico di curiosi, tiene la sua relazione:

E.: «Su meritevole segnalazione della famiglia di collaboranti volontari Travaglieri si è individuata nella non meglio conosciuta Zammara un’adepta del demonio. Costoro l’han vista più volte aggirarsi nottetempo, ma sempre con la presenza della luna, nel campo detto La Spinosa, talora cantando litanie in lingua sconosciuta, talaltra pronunciando frasi sconnesse, sempre incomprensibili, spesso in compagnia della giovane Polimena, che sarà inquisita più avanti. Portatemela qui».

Zammara viene trascinata nell’aula.

E.: «Cominciamo dal nome. Come vi chiamate?». Z.: «Io non mi chiamo mai, mi chiamano gli altri».

E.: «Avrete la vostra dose di frustate per questa insolenza. Comunque, come vi chiamano gli altri?».

Z.: «Zammara, mi chiamano, Zammara! Se già lo sapete perché insistete nel chiedermelo?».

E.: «E cosa vuol dire Zammara? Da dove viene questo nome?».

 

Z.: «Da dove viene non lo so, per me può venire da qualsiasi parte, il fatto è che ce l’ho avuto addosso da sempre!».

E.: «Insolenza su insolenza. E allora lo dico io cosa vuol dire. Zammara non significa “zia Maria” come molti credono ma è il nome di una pianta spinosa di origine africana, che qui non cresce, ma sì in Val di Noto. Secondo molti è la pianta diabolica per eccellenza del Mediterraneo. Ognuna delle sue lunghe foglie recanti in cima spine appuntite come un pugnali è sede di demoni e quindi un’intera pianta di zammara equivale a un’armata diabolica».

D.: «Ci sono qui nella sala persone in grado di dirci qualcosa di concreto riguardo a Zammara? Chi può confermare che si tratti davvero di una strega?».

I coll. vol.: «Altro che una strega! È una vera strega! Io che sono un suo confinante l’ho vista incantare vipere velenosissime che ucciderebbero un bue, l’ho vista che se le portava a casa, dove di sicuro le lasciava libere e al mattino le portava tutte nell’aia e le nutriva di sangue di gallina come una madre nutre i suoi piccoli. Poi le faceva camminare, giocare e le chiamava anche per nome».

II: «Io sono sua moglie e vi assicuro che una volta che guardavo da lontano la casa di Zammara ne vidi uscire un grossissimo serpente, nero, lungo come almeno venti vipere in fila, che allontanò nel cortile. Allora lo rincorse, lo abbracciò come un figlio e gli disse: “Dove fuggi, amore mio? Ritorna dalla tua mamma!».

III: «Lo volete sapere chi era Zammara trent’anni fa? Era un’estranea, una donna di fora, che veniva dalla punta della Sicilia per fare la maga. Si vede che l’avevano cacciata fuori da dove stava. Arrivata qui si trovò una vecchia stalla dove abitare, la ripulì, ci mise un giaciglio e se da allora a Malva, come si dice, c’è il diavolo, è colpa sua».

IV: «Lei fabbrica amuleti, anelli incantati, talismani, fa’ nodi magici e strega le carte».

V: «Fa’sortilegi e malefici, fatture per trovare o ritrovare l’amore e altre per far star male i nemici e anche farli morire».

VI: «Spesso la sentiamo pregare a denti stretti, che le parole non si capiscono e sono sicuramente preghiere a Satana».

VII: «Altro che strega! Zammara è una grande strega, perché sa fare tutto quello che fanno le streghe più esperte. Per esempio pratica la divinazione. Tra l’altro parla con gli uccelli, che le rispondono a tu per tu, e ne legge le interiora».

VIII: «Io so che parla con una caraffa d’acqua».

 

IX: «È capace di stregare le vacche, di farle ammalare e morire, gettando sul lastrico intere famiglie».

X: «Distrugge i raccolti, facendo piovere al tempo sbagliato o anche provocando turbini e tempeste».

XI: «Indovinate quale albero ha al centro dell’aia? Ma il noce, naturalmente, l’albero dei maghi e delle streghe!».

XII: «E se date un’occhiata al suo orto, sapete che ci trovate? Una raccolta completa di erbe magiche: l’iperico, la verbena, l’artemisia, la valeriana e la mandragola. Quindi malva a volontà. Solo le erbe nottambule non vi crescono, ma lei sa dove andarle a trovare, nel campo di Spinosa».

XIII: «E fa pure magie con la calamita: attira spilli, chiodi, monete. E sa parlare lingue che nessuno conosce. Infigge spilli nei pupazzi».

Coro: «Spogliatela nuda per quanto vi disgusti il corpo di una vecchia. Da qualche parte troverete il marchio di Satana, il punto che non duole. Pungetela con spilli, punte varie infuocate, vedrete che non urlerà».

[Azioni speculari simulate]

E.: «Le testimonianze mi sembrano chiare. Poiché siete una strega dovete essere confidenza col demonio».

Z.: «Poiché sono una strega, io, Zammara, rispetto il demonio come rispetto Gesù Cristo Nostro Signore e Dio Onnipotente».

E.: «Siete una povera demente, una strega!».

Z.: «Se io che sono una strega tratto il demonio con rispetto lui, lui, dico, non mi farà del male, anzi verrà a coricarsi nel mio letto…».

E.: «Oh, orrore! Orrore e sdegno!».

Z.: «E con quanta passione usa di me, signor diacono!».

  1. consulta il Malleus Maleficarum. Quindi chiede: «Com’è il suo seme?».

Z.: «Freddo come il ghiaccio. Questo mi dispiace, ma è così con tutte le streghe come me. Tuttavia con lui divento donna, una donna giovane da cui Lui trae tanto piacere. E a me piace il suo viso di Gesù».

E.: «Che avete detto?».

Z.: «Lui non ha il viso del diavolo come lo rappresentate voi chierici, cioè la barba e le corna, ma il volto di Gesù Cristo Nostro Signore».

E.: «Non vi rendete neppur conto di quanto siano blasfeme le vostre parole! Oh, dirsi fedeli a Dio e a Cristo ma anche al diavolo e poi giacere con questi che reca per

 

supremo oltraggio, il viso incorrotto di Cristo è la massima bestemmia che si possa rivolgere all’Onnipotente! Una bestiale eresia!».

Z.: «Io neanche lo so cos’è un’eresia! Che cos’è un’eresia, signor diacono?».

E.: «Accettare di buon grado che il diavolo abbia confidenza con noi piuttosto che rifiutarlo con tutte le nostre forze, anche a costo di andare incontro al martirio, questa è eresia!».

Z.: «Ma se il parroco non fa che ripetere che il diavolo non solo esiste, ma è anche molto potente, come posso io, che sono solo una povera donna malata, rifiutare quanto mi chiede Lui, il diavolo?».

E.: «Vi ho appena parlato di martirio. Il prezzo può essere la vita, se necessario, ma l’anima si salverà. Ma voi non siete neppure capace di riflettere sulla sacralità del rifiuto. Per voi non c’è altra possibilità che il rogo!».

  1. (ridendo come una pazza): «Ma quale rogo e rogo! Io ve lo spengo con una gran pisciatona che sarà come la piena di un fiume in autunno».

E il Duca, ridendo con crudeltà: «Questo vuol dire che fino al giorno dell’esecuzione non vi faremo più bere acqua!».

Z.: «Io che sono una strega l’acqua conto di averla lo stesso da Gesù Cristo e dal diavolo che in uno sono miei amanti! Ma se acqua non avrò il rogo lo stesso spegnerò… con una gran scorreggia meraviglia dell’umano intestino!».

E.: «Volete forse indirizzare il nostro giudizio verso la forca?».

Z.: «E c’è una corda che ce la fa a tenermi impiccata, pesante come sono? o una liana che ce la faccia a tagliarmi la pelle di zammara africana? O una mannaia che non si spezzi al mio collo di ferro? Sentite questa!

 

Danza del Sabba

 

 

Io al Sabba ci vo’ con la ramazza dev’esser nuova, sennò può cadere ed è così che Zammara s’ammazza! Io vado al Sabba delle fattucchiere per aggiornarmi sulle magie nere

e quante anime vedo in quelle fiere! Io vado al Sabba a cercar le sorelle dimenticando questo paese lercio

 

ci conosciamo a fiuto o a pelle

e col demonio facciamo commercio!».

 

 

E.: «Visto che è così vediamo come reagite all’interrogatorio di una persona che vi è cara, forse il solo punto debole della vostra corazza di imputato sprezzante del giudizio della Corte. Fate entrare Polimena».

Z.: «Polimena, a cui ho sempre fatto da madre!».

E.: «Come dicevo, il vostro punto debole. Entri Polimena».

 

 

 

Scena VII

 

 

  1. (rivolgendosi alla ragazza): «Siete stata vista da Trecarichi mentre passeggiavate in campagna di notte con Zammara. Trecarichi, confermate questo?».

Trecc.: «Sì, senza dubbio. Sembrava cercassero delle erbe notturne». E.: «E che avete visto poi?».

Trecc.: «Ho sentito don Nicola che le chiamava e che parlava con loro, ma non ho sentito cosa si dicevano».

E.: «Polimena, corrisponde a verità quanto affermato da questo collaborante volontario?».

Pol.: «È vero. Con Zammara raccoglievo erbe nottambule e poi si è avvicinato don Nicola per salutarci visto che si trovava anche lui nel campo di Spinosa a cercare erbe anche lui».

E.: «Una strana coincidenza».

Pol.: «Succede d’incontrare tanta gente anche di notte alla Spinosa, tutti che cercano erbe notturne o lumache».

Collaborante: «O vermi, uccelli addormentati e serpenti magici!». E.: «Polimena, voi sapete che Zammara è una strega, vero?».

Pol.: «Una strega? Io non so neppure cos’è una strega!».

E.: «Come chiamate voi una persona che ha confidenza col diavolo e agisce a distanza con la volontà per fini malvagi senza compiere alcun intervento diretto sulle cose?».

Pol.: «Una mavara. Solo le mavare possono compiere questo genere di cose».

E.: «E va bene, è una mavara. Però mavara in qualsiasi parte del mondo si chiama strega».

 

Pol.: «Non vedo cosa ci sia di male a essere mavara o strega, come dite voi. Di Zammara posso testimoniare la sua bontà. Dopo che morì mia madre mi fece sempre da mamma, dolcissima, buona, piena di premure».

E.: «Certo, voleva allevare una strega come lei e si garantiva il vostro affetto e l’apprendimento dell’arte mostrandovi un affetto interessato. Comunque già queste poche parole mi hanno dimostrato la pochezza del vostro intelletto e ciò mi mette a disagio perché pensavo di dover conferire con una giovane donna e non con una piccola bambina, con un corpo da maggiorenne sviluppata. Ciò richiede da parte mia un’accurata riflessione sul modo di continuare a interrogarvi. Per ora andate pure dalla vostra matrigna nella sala minore. A suo tempo sarete chiamate per il nuovo interrogatorio».

Polimena si ritira nella sala minore, dove già si trova Zammara.

 

 

 

Scena VIII

 

 

Z.: «Oh, Polimena carissima, che ti hanno fatto dire? ».

P.: «Bella Zammara, niente mi hanno fatto dire e niente ho detto se non quello che già sapevano: che di notte ogni tanto andiamo alla Spinosa a raccogliere erbe notturne e che li può capitare che si trovi già o sopravvenga gente come noi,come quella volta don Nicola».

Z.: «Cercano streghe, streghe da bruciare in pubblico per impressionare la gente, in modo da gettare tutta la popolazione nel terrore di poter essere accusata da chiunque di pratiche col demonio e così sottometterla alla loro volontà. Ma io di loro me ne fotto e strafotto, che la vita ormai mi è di peso, perché sono vecchia e contro il tempo non c’è magia che tenga. Ma tu, piccola, tu fa’ di salvarti. Rinuncia alla tua innocenza, fallo ora che ti è necessario per sopravvivere ai disegni di questi scellerati, tanto l’innocenza la perderai comunque in malo modo al più presto. Se vogliono che tu testimoni che sono una strega, che compio azioni malvage evocando gli spiriti dell’inferno, che abuso della tua creduloneria, assecondali sempre e salvati perché sei così giovane, mentre io, ormai vecchia, non ambisco che a morire, ma non di mia volontà, che lo considero contro natura, ma assecondando qualunque pericolo estremo si avvicini alla mia persona».

 

P.: «Oh, Zammara, tu mi hai fatto da mamma e mi hai fatto conoscere il piacere delle cose più minute della vita… Le nostre passeggiate serali alla Spinosa, profumate di zagara e di erbe nottambule, accompagnate dalla Luna, dolce amica di entrambe. Cosa avrei potuto avere in dono di più bello? E ora mi dici che vivere ti pesa e non sei disposta a batterti per continuarla, tu che sei la donna più innocente della Terra, oh Zammara! Questo io non te lo permetto e anzi ho un’idea. Tu dici che sono o che sembro innocente. Gli innocenti dicono sempre la verità e quindi li si può ritenere fonti attendibili di prova. Nonostante la mia ingenuità so che difficilmente ciò che vien detto e ripetuto da un’innocente viene trascurato, anzi, l’innocenza stessa viene utilizzata ovunque faccia comodo, finchè tutto ciò assicuri vantaggi, con ciò legittimandola sempre più. Lasciami fare, Zammara. Io ti salverò dal rogo dove senza dubbio il diacono Eusebio e il Duca di Malva vogliono farti salire, probabilmente insieme a don Nicola e altri cittadini di Malva, e forse per ultima anch’io. Tu dici di essere vecchia, mia Zammara, ma non sei vecchia, sei giovane sempre, perché tu puoi ancora godere come me di una notte di luna e di stelle. Allora lasciami fare.Non so ancora in che modo,ma riassicuro che appena ne avrò l’occasione,ho in testa di trasformare la testimonianza di un’innocente che spiattella i segreti di tutti, in una tremenda vipera, che colpisce chi ne ha tanta confidenza da starle accanto senza precauzioni. Lasciami fare, abbi fiducia e non prendere sul serio nessuna delle parole che dirò da ora in poi».

 

 

 

Scena IX

 

 

Secondo interrogatorio di Polimena. E.: «Fate rientrare la giovane».

Polimena viene riaccompagnata davanti al diacono Eusebio e al Duca di Malva.

E.: «Sembrate una brava ragazza, una ragazza sincera, anche se incorsa in un perfido destino, aver avuto una madre adottiva che è una strega. È una strega, dunque, Polimena? Avete ormai capito il significato di questa parola, no?».

Pol.: «E va bene, la mia madre adottiva è una strega. Sì. Fa cose strane. Parla con gli oggetti. Ma non fa male a nessuno, è una strega buona».

 

E.: «Avete mai avvertito in casa la presenza del diavolo? Di notte ad esempio, quando la vostra matrigna diceva di unirsi con il diavolo, vi è capitato di sentire qualcosa di strano, di insolito?».

Pol.: «Di solito dormivo di sonno profondo, ma una volta mi è sembrato di sentire che mia madre Zammara dicesse, ma non so in verità se l’ho soltanto sognato , “Vostra Maestà ha pieno potere su di me” e poi rumori secchi di mobilio messo alla prova da movimenti umani».

E.: «Dunque ritenete attendibile che la vostra matrigna avesse rapporti col demonio?».

Pol.: «Oh, senz’altro! D’altra parte è una donna e ha pur bisogno di sfogarsi con qualcuno!».

E.: «Oh, senti questa, l’innocentina, che linguaggio! Povera bambina! Vi chiamo così, bambina, nonostante abbiate ventitrè anni, perché la vita a volte è ingenerosa e non ha voluto che maturaste nell’intelletto e nel cuore quanto la vostra età richiede. Siete soggetta a essere ingannata da chiunque. Innanzitutto da chi vi si è presentata con un’affettuosa aria materna, come l’imputata di stregoneria Zammara, con l’intento di prendere il posto di vostra madre meretrice che pur amavate tanto e le cui fattezze vi parve di ravvedere nella figura di Zammara, che aveva bisogno di una figlia- aiutante per avvelenare lentamente le sorgenti di Malva con estratti di erbe nottambule, come ci hanno riferito molti collaboranti volontari, che l’hanno vista chinarsi sulla sorgente e rilasciarvi le sue infusioni malvage. Quest’avvelenamento verosimilmente non produce la morte, ma la pazzia o una forte predisposizione alle pratiche sataniche, naturalmente su ordine del diavolo, con la vostra involontaria complicità».

Polimena scoppia in pianto.

E.: «Potrete salvarvi dal rogo che attende anche voi rendendo dettagliata confessione delle atrocità commesse da Zammara e da eventuali suoi complici».

Polimena piange disperatamente.

E.: «Per rispetto alla fondamentale integrità morale dell’imputata propongo al signor Duca di proseguire l’interrogatorio nella sala minore».

D.: «Accordato».

E.: «Scherani, fate uscire la strega di lì e portatela in un altro locale ben sorvegliato!».

 

 

Scena X

Il Duca di Malva,il diacono Eusebio e Polimena nella sala minore.

E.: «Vogliamo sapere tutto ciò che è accaduto durante il vostro sodalizio con Zammara.

Ha mai tentato di abusare di voi? Vi ha mai toccata con intento impuro?».

P.: «Non l’ha mai fatto, neppure quando mi trovo mezza stordita davanti a lei nel corso dell’esorcismo».

E.: «Che esorcismo?».

P.: «L’esorcismo, così lo chiamano lei e gli altri della fraternità». E.: «Cos’è questa fraternità?».

P.: «Sono un gruppo di uomini più Zammara che esercitano su di me una cosa che chiamano esorcismo».

E.: «E quale sarebbe lo scopo di questo esorcismo?».

P.: «Da anni dico a Zammara che ho delle strane visioni, che di notte mi tormentano. A volte, inoltre, soprattutto nei periodi di plenilunio, mi capita di alzarmi e camminare in stato d’incoscienza, come dormendo, con le braccia distese in avanti e i palmi delle mani aperti».

E.: «Non c’è dubbio che in tutto ciò vi sia del demoniaco. Chi esercita l’esorcismo e dove? Chi compone la fraternità?».

P.: «Ve lo dico, a condizione che non facciate del male ai miei benefattori». E.: «Benefattori? O abusatori?».

P.: «Benefattori, senza dubbio».

E.: «E allora? Chi sarebbero questi benefattori?».

P.: «La mia seconda mamma Zammara, il parroco don Nicola…».

  1. (sobbalzando): «Don Nicola! Don Nicola!». P.: «Sì, il caro don Nicola».

E.: «E poi chi ancora?».

P.: «Il cerusico Porzio, il protomedico Intraleo, il sarto poeta Filistella».

E.: «Tutti personaggi di primo piano qui a Malva, il fiore della sua intelligenza. E dove si svolgerebbe questo esorcismo?».

P.: «Se promettete di non fare del male alla fraternità vi dirò anche il luogo». E.: «Avanti, ve lo prometto».

 

Pol.: «Vi sembrerà strano, ma si tratta proprio della Chiesa Madre».

E.: «La Chiesa Madre intitolata a Santa Luneide! C’era da aspettarselo! E in quali orari?».

Pol.: «A mezzanotte, ogni quindicina di mese». E.: «Descrivetemi l’esorcismo».

Pol.: «Ogni volta mi accompagna Zammara e già trovo ad aspettarmi i quattro confrati, che mi salutano come me loro figlia e mi fanno bere una bevanda che non saprei descrivere, buona, però, che loro chiamano “liberatrice”. Allora comincio a sentirmi un po’ stordita e mi fanno stendere a terra su alcune coperte stese l’una sull’altra».

E.: «Siete nuda o vestita?».

Pol.: «Vestita, naturalmente, sempre».

E.: «Siete sicura che non vi abbiamo toccata?». Pol.: «Ne sono certa, naturalmente».

E.: «Ma allora cosa fanno?».

Pol.: «Don Nicola inizia recitando il Pater Noster e un’invocazione a San Giorgio, che scacci il demonio dal mio cuore. Poi Zammara invoca Santa Luneide, ma la chiama solo così, Luneide: “O Luneide, Luneide, occupati della mia figliola, che nel sonno pronuncia parola e ad occhi chiusi cammina da sola”».

E.: «E poi?».

Pol.: «Il cerusico Porzio, il medico Intraleo e il sarto-porta Filistella mi fanno delle domande».

E.: «Voi avrete già bevuto un bel bicchiere di bevanda liberatrice, no?». Pol.: «Sì, la bevo subito dopo l’invocazione di Zammara».

E.: «E cosa vi chiedono?».

Pol.: «Prima di tutto mi chiedono dei miei sogni… che sogni faccio… quali sono i miei incubi…».

E.: «E che sogni fate?».

Pol.: «Sogni bellissimi a volte. Ad es.a volte nel sonno vedo Gesù Cristo con una lunga tunica candida che mi attende a braccia aperte mentre corro verso di lui su un prato verdissimo pieno di papaveri ma poi, a volte la stessa notte sogno il diavolo che è lui a inseguirmi in una foresta buia, piena di serpenti che mi sfiorano, e lui si trova in stato… in stato… non so come dire…».

E.: «Chiamiamo le cose col loro nome: è in stato d’eccitazione».

 

Pol.: «Non è che m’intenda molto di ciò, ma è così, si trova in stato d’eccitazione, sicuramente, e mostra di volersi servire di me per il suo piacere… E m’insegue … A volte dei lampi illuminano lontano la figura di Gesù Cristo con la tunica bianca all’orizzonte e il diavolo sembra fermarsi…».

E.: «Continueremo un’altra volta. Ma intanto i confrati cosa facevano o dicevano?». Pol.: «Don Nicola recitava altre preghiere, Zammara nuove invocazioni alla Luna e alle

Stelle, mentre il cerusico, il protomedico e il sarto-poeta si consultavano tra loro dicendo cose che non capivo, tranne la parola “melancholia”, che ripetevano spesso, e anche l’espressione “melancholia onirica grave causata da conflitto morale interiore”,oppure,ora che mi viene in mente ‘’bisogno di uscire dalla carnalità repressa dell’età giovanile per conquistare quella femminile piena…’’ Ma non capivo cosa intendessero ».

E.: «E qualcuno si offrì mai di liberarvi da questa triste condizione?». Pol.: «No, mai, non accadde mai nulla ».

E.: «E allora?».

Pol.: «Si restava nel vago delle preghiere e delle invocazioni, mentre loro parlavano, parlavano, analizzando ogni mia parola e chiamando tutto ciò “esorcismo razionale”».

E.: «E nessun fatto, nessuna azione?». Pol.: «No, signor diacono, solo parole».

E.: «Va bene, per ora potete andare… Sia portato il parroco don Nicola».

 

 

 

Scena XI

 

 

E.: «Così, don Nicola, la verità si è svelata da sé. Praticate l’esorcismo senza averne l’autorizzazione del Sant’Uffizio e questa è già per se stessa un atto di apostasia. Inoltre ammettete a questa pratica santa, sebbene esercitata abusivamente, degli estranei, quali nientemeno una strega riconosciuta, due cosiddetti uomini di scienza, quali un cerusico e un protomedico, e uno addirittura che non si sa cosa sia, se un sarto o un versificante o che altro, nulla che abbia a che fare con un vero esorcismo. Siete responsabile di aver consentito delle baldorie demoniache di notte nella Matrice, di cui Polimena nega gli aspetti perversi, ma che ritengo esservi stati e ne

 

troverò le prove. Che dite voi, don Nicola? Che facevate da mezzanotte all’alba nella Matrice?».

d.N.: «Vostra Eccellenza, la ragazza soffriva e tuttora soffre di gravi disturbi…». E.: «Non è la prima!».

d.N.: «Sì, Vostra Eccellenza, ma è la prima a Malva a memoria d’uomo e francamente non sapevamo cosa fare».

E.: «Perché non avete avvisato il Sant’Uffizio di Palermo?».

d.N.: «I fenomeni diventavano sempre più gravi e frequenti e sapevamo che anche a Palermo gli esorcisti sono pochi rispetto al numero sempre crescente di richieste che provengono da ogni parte della Sicilia e avremmo dovuto attendere molto tempo. Intanto Polimena avrebbe potuto incorrere in gravi conseguenze per la sua salute fisica e mentale. Perciò mi sono fatto coraggio e richiamando alla mente tutto ciò che sapevo sugli esorcismi ho tentato di intraprendere questa via per la sua salvezza».

E.: «E la strega riconosciuta Zammara?».

d.N.: «Io non so nulla di Zammara come strega riconosciuta, non ho alcuna notizia di sue attività in contrasto con la santa religione. Io l’ho ammessa all’esorcismo perché era la persona più amata da Polimena e aveva su di lei una funzione calmante».

E.: «E il cerusico Porzio, il protomedico Intraleo e il sarto-poeta Filistella?».

d.N.: «Non ero affatto sicuro che il procedimento che avrei intrapreso sarebbe stato quello giusto. Così li ho pregati di partecipare per studiare il caso dal loro punto di vista in modo da aiutarmi a definire in modo più completo le cause e i rimedi della malattia di Polimena».

E.: «Il cerusico e il protomedico sarebbero uomini di scienza che ragionano secondo le loro conoscenze di chimica e di organica fisiologica, dove ci sono solo sostanze materiali e corpi fisici, oppure i famosi Quattro Umori che sarebbero, secondo loro, il contenuto dell’anima e dove non c’è posto né per lo spirito né per il diavolo, sebbene per lo stato di ordinaria salute o per l’alterazione dei rapporti eccellenti da cui nasce la malattia. Come può un uomo di Chiesa chiedere la loro collaborazione nella pratica esorcistica che è di assoluta ed esclusiva pertinenza della Chiesa? Questa collusione è un tradimento, un tradimento della Chiesa da parte di un suo parroco e può benissimo configurarsi come un atto di apostasia! Uscite per adesso, interrogherò gli altri».

 

Scena XII

Nella sala si trovano solo il Duca e il diacono.

E.: «Signor Duca, molti miei gravi presentimenti risultano confermati. Qui a Malva è accaduto qualcosa di molto grave. Il demonio ha posto piede in questo paese in modo drastico coinvolgendo innanzitutto, ciò che mi fa ribollire il sangue nelle vene, il parroco stesso, che doveva rappresentare il faro della fede e invece si è dato in signoria al demonio!».

Duca: «Tuttavia lui si giustifica parlando di “esorcismo razionale”, allargato a uomini che se non sono scienziati veri e propri hanno comunque a che fare con la scienza, come il cerusico e il protomedico. Del sarto poeta non so che dire. Evidentemente non ha a che fare con la scienza, ma pare che abbia la capacità di suscitare il ricordo dei sogni dimenticati. Se voi riferiste al Sant’Uffizio la faccenda come si presenta in atto, certamente molti a Palermo griderebbero all’eresia ma potrebbe anche esserci chi prenda interesse alla faccenda, trovandoci alcunché di suggestivo, e il caso verrebbe sicuramente avocato alla Procura Ecclesiastica. Le cose sicuramente si metterebbero per le lunghe e non è neppur detto che il cerusico e il protomedico e l’altro, il sarto, finiscano poi condannati.Probabilmente la farebbero franca anche la strega Zammara e il parroco, dando per scontata la non imputabilità di Polimena. Tuttavia, se ben ricordate, il nostro scopo non è creare le condizioni per un grande autodafé a Palermo con la partecipazione dei maggiorenti della città, ma dare una lezione agli abitanti di Malva, sbarazzandoci di questi “esorcisti”».

E.: «Probabilmente avete ragione. L’ “esorcismo razionale” complica notevolmente la cosa. Avete qualche idea al riguardo».

D.: «Sì, ed è molto semplice. Dobbiamo convincere Polimena a dichiarare che in realtà l’ “esorcismo razionale” non è altro che una ciarlataneria per giustificare atti libidinosi innominabili compiuti nei suoi confronti mentre era in stato d’incoscienza. Questo farà fremere di sdegno i cittadini, specie se i collaboranti volontari contribuiranno a scaldare un po’ l’atmosfera. La prima cosa dunque è parlare con Polimena. La vado a cercare e lo farò personalmente».

 

Scena XIII

 

 

Il Duca e Polimena.

D.: «Voi non volete parlare, Polimena, ma noi siamo certi che il vostro corpo è stato violato ripetutamente da uomini impuri mentre vi trovavate in stato d’incoscienza. Questi sciacalli hanno approfittato per tanto tempo della vostra innocenza. Ammettetelo finalmente».

Pol.: «Può una vera cristiana quale mi considero dichiarare il falso e permettere che degli innocenti vengano condannati solo per compiacere un potente…».

D.: «Ma andiamo! Approfittare fisicamente di una bella e sfortunata ragazza quale voi siete è un fatto comune, succede dovunque. Perché non dovrebbe essere successo a voi, qui a Malva?».

Pol.: «Non ne ho avuto nessuna evidenza. Nessuna traccia neppur minima sul mio corpo mi ha fatto pensare a questo».

D.: «Non sono cose che necessariamente si vedono. Si possono compiere le più turpi pratiche sul corpo di una donna senza lasciare alcuna traccia visibile. Dovete tener conto che con quella bevanda vi trovavate in uno stato d’incoscienza così grave che vi potevano fare qualsiasi cosa».

Pol.: «Come toccarmi, accarezzarmi, baciarmi?».

D.: «Molto ma molto peggio, e poi ordinarvi di dimenticare tutto». Pol.: «C’è una cosa che forse non sapete, signor Duca».

D.: «Parlate, vi ascolto».

P.: «La ragione principale dell’esorcismo, oltre gli incubi e il fatto che cammino nel sonno, sono le continue visioni di animali accanto alle persone».

D.: «Qui è meglio che facciamo venire il diacono Eusebio, che s’intende più di me di queste faccende».

Va a chiamare il diacono Eusebio, che entra dicendo:

«Dunque vedete figure d’animali accanto alle persone? A tutte?».

Pol.: «No, solo ad alcune». E.: «A chi?».

Pol.: «A Zammara a volte, a don Nicola e agli altri della fraternità».

 

E.: «Vi rendete conto di ciò che dite? Quelle figure di animali sono immagini del diavolo. Escono dal corpo di cui hanno preso possesso e si mostrano per soggezionare e creare nuovi adepti. Ne parla lungamente il libro che mi fa’ da guida nell’inquisire le streghe, il Malleus maleficarum, universalmente conosciuto ed elogiato. Ditemi che figure sono».

Pol.: «Serpenti, caproni, asini, maiali».

E.: «Perfetti ritratti del diavolo. E voi cosa provate quando le vedete?». Pol.: «Orrore! Orrore! Orrore! Vorrei esser morta piuttosto che vederle!».

E.: «Vi prometto che vi libereremo per sempre da incubi, passeggiate nel sonno e visioni di mostri con un vero esorcismo se prima ci aiuterete a condannare i confrati con l’accusa di aver abusato del vostro corpo durante le Messe Nere».

Pol.: «Ma io non…».

E.: «Voi non potete ricordare perché eravate sotto l’effetto di droghe».

D.: «Ascoltatemi, Polimena. Voi siete una bellissima ragazza, e qualunque abuso abbiate subito nulla toglie alla vostra avvenenza. Quando i confrati saranno condannati il diacono Eusebio, che è valentissimo in materia d’esorcismo, vi farà guarire, e allora potrete diventare per me un’ottima moglie, che dopo tanti anni di vagabondaggio per il mondo sento proprio il bisogno di averne una,insieme a un erede».

Pol.: «Mi confondete, signore… Sembra quasi… che vi stiate prendendo gioco di me».

D.: «No, no, vi prego. Pensate solo a questo: io vi riscatterò dalla vostra infima condizione e voi un giorno potrete essere la duchessa di Malva».

Pol.: «E voi prendereste in moglie una donna pubblicamente vittima di abusi?».

D.: «Non pensateci. Tutto ciò non avrà la minima importanza, purchè collaboriate con noi a smascherare gli adepti del diavolo a Malva».

Pol.: «Sono molto confusa… Finora ho detto sempre e solo la verità. Voi mi chiedete di dire qualcosa che non so».

E.: «Tenete conto che anche la falsa testimonianza è santa se serve a smascherare il diavolo. Non temete di secondarci anche affermando il falso, ché la giustizia divina sa discernere le buone dalle cattive intenzioni».

Si alzano, si affacciano alla porta, escono. Il Duca parla agli abitanti di Malva:

«La deposizione segreta di Polimena ha confermato strani e inspiegabili episodi che presto saremo in grado di chiarire».

 

Scena XIV

 

 

D.: «Entri il collaborante volontario Trecarichi». Un uomo avanza dalla folla ed entra nella sala. E.: «Che mestiere fate voi?».

T.: «Faccio il pastore e il capraio».

E.: «Quando avete visto Polimena aggirarsi nei pressi della Matrice?».

T.: «In due occasioni in cui mi trovai a portare le mie bestie al pascolo passando vicino la Chiesa».

E.: «Siete sicuro che si trattasse di lei?».

T.: «Non ne ho il minimo dubbio. La conosco fin da bambina. La riconoscerei dalla sola ombra, come tutti gli abitanti di Malva».

E.: «Ed era sola o c’erano altri con lei?».

T.: «C’erano altre ombre, provenienti senz’altro dalla Matrice, l’unico posto da cui si potevano esser mossi».

E.: «Chi avete riconosciuto oltre a Polimena?».

T.: « Nonostante queste persone cercassero il favore delle tenebre sfuggendo i raggi di luna, sono certo d’aver riconosciuto oltre a Polimena e Zammara, il cerusico Porzio, il protomedico Intraleo e il sarto Filistella».

E.: «Da dove provenivano costoro, secondo voi?». T.: «Senza dubbio dalla Chiesa Madre».

E.: «Dove non si entra se ad aprire le porte non sia il parroco in persona».

D.: «Per il momento tornate al vostro posto. Ci sono altri collaboranti volontari?». Si fa avanti una donna dall’aspetto molto minuto.

D.: «Chi siete voi?».

V.: «Il mio nome è Vitula, moglie del calzolaio Genacco. Siamo collaboranti volontari in cerca di terra e lavoro. La nostra misera bottega e l’annessa stamberga, noi due più i nostri cinque figli, si trovano proprio di fronte alla Matrice. È per questo che so qualcosa di ciò che è accaduto lì dentro per anni».

E.: «Parlate, dunque».

 

V.: «Più volte, di notte, trovandomi a guardar dentro la Chiesa attraverso certe crepe nella porta che loro non si sono mai curati di tappare, tanto erano sicuri che nessuno si sarebbe soffermato a osservarli, ho visto bagliori di fuochi ».

E.: «E avete visto solo questi fuochi?».

V.: «No, non solo questi, ma c’erano ombre volanti visibili attraverso le ombre che gettavano sui finestroni, come di giganteschi pipistrelli…».

Pol. (interrompendola): «Sì, i pipistrelli, li vedevo sempre e li vedo anche ora… aggrappati a Don Nicola!».

E.: «Bene, ulteriori prove delle sue collusioni demoniache. Polimena, lasciate continuare Vitula».

V.: «Oltre alle ombre dei pipistrelli si udivano frasi di una volgarità irripetibile insieme a bestemmie pronunciate da voci inumane».

E.: «Ripeteteci almeno una frase di quelle che avete udito alla Matrice, la meno sconcia, purchè possiamo farcene un’idea».

V.: «Uomini dalla voce tenebrosa, sorretta dal tono basso di Satana in persona, dicevano ripetutamente: “Tenero innocente corpo bianco”».

E.: «C’è dell’altro?».

V.: «Sì, ma è tanto indegno che non posso riferirlo».

E.: «E la persona a cui diceva queste parole rispondeva qualcosa?».

V.: «Con voce flebile, che capivo appena, come se non fosse pienamente in sensi, rispondeva: “Se così vi piace mio signore”».

E.: «Non v’è alcun dubbio che si abusasse fisicamente di Polimena, altro che esorcismo razionale. Il principe di cui si parla era evidente il diavolo, in persona di uno o più degli imputati. Siete certa che la voce femminile fosse della ragazza?».

V.: «Sì, certamente».

E.: «E le voci maschili?».

V.: «Credo che appartenessero a turno a tutti gli imputati». E.: «E cosa dicevano? Cosa ripetevano?».

V.: «Sempre quella frase: “Tenero innocente corpo bianco”, “Tenero innocente corpo bianco”».

E.: «V’erano altre voci femminili e quali?». V.: «Anche Zammara ripeteva quella litania».

E.: «Si comincia a delineare una setta satanica che esercita continui abusi su una ragazza rimasta intrinsecamente bambina come Polimena».

 

Pol.: «Monsignore, un lunghissimo serpente nero si è avvigliato tutt’attorno al corpo di Zammara, eppure non la soffoca anzi lei ne gioisce e se ne mostra orgogliosa».

  1. (puntandole contro il Cristo aureo come una spada): «Vade retro! Vade retro!».
  2. (ride a crepapelle): «Ma io sto benone con questo mio magnifico serpente intorno: mi sento una regina».

E.: «Spero per voi che sappiate sentirvi regina anche sul rogo!». Pol.: «Aiuto, aiuto! Quel serpente è Satana!».

Il duca abbracciandola: «Oh, piccola Polimena, Satana non oserà neppure sfiorarvi!».

E.: «L’interrogatorio di Vitula è finito. Grazie per essere stata così esauriente. Adesso voglio riascoltare don Nicola».

 

 

 

Scena XV

 

 

Entra di nuovo don Nicola.

E.: «Don Nicola, voi conoscete di certo la differenza tra una Messa Cattolica e una Messa Nera».

d.N.: «Certo, la Messa Cattolica è celebrazione di Cristo, la Messa Nera è celebrazione di Satana».

E.: «Innanzitutto il vostro esorcismo razionale è di per sé un’eresia, perché effettuato a insaputa della Chiesa, che probabilmente si sarebbe pronunciata contro la sua effettuazione. Inoltre, come si evince sempre più chiaramente dalla deposizione di Polimena tali Messe Nere, come peraltro accade normalmente, non si limitavano agli strampalati riti in omaggio a Satana, ma prevedevano, ed è ciò che più d’ogni altra cosa ci fa’ smuovere di sdegno, contatti di tipo sessuale con la ragazza mentre lei versava in condizioni di semincoscienza. È vero, Polimena?».

Pol.: «Vedo un corvo, vicino a voi, don Nicola! Il corvo che mi ha insegnato a essere donna, a conoscere il piacere della donna!».

d.N.: «Come osi dire questo, Polimena! Ci accusi dicendo che le nostre intenzioni nei tuoi confronti non erano pure e che l’esorcismo razionale, che già di per sé non era che un espediente per abusare di te, Polimena! Dici la verità, ragazza, in nome dell’Onnipotente!».

Pol.: «La verità la dice quel corvo nero che vi sta attaccato alla spalla. Quello è un simbolo di contatto fisico e ora sono sicura che ciò è accaduto».

 

d.N.: «Ma se vi trovavate in stato di incoscienza!».

Pol.: «Non ero del tutto incosciente. Sentivo le vostre litanie in latino e poi la vostra mano sinistra risalirmi la coscia, mentre Zammara che pregava la Luna. Anche il cerusico, il protomedico e il sarto impegnati nelle loro solenni discussioni sulla natura della mia malattia, non si limitavano a parlare ma mi toccavano ininterrottamente, in maniera ruvida, lercia, tentando di approfittare di ogni centimetro della mia pelle!».

P.: «Il corvo che vi sta appollaiato sulla spalla! È il diavolo, ormai l’ho capito, e ora mi sta facendo segno di tacere, per difendere la vostra posizione, ma io non ho alcuna intenzione di farlo, mentecatto, né per voi, né per i vostri farabutti complici, né per Zammara, che credevo la mia seconda madre e ora si rivela ai miei stessi occhi una squallida megera!».

d.N.: «Che dici, scellerata? Io non vedo alcun corvo sulla mia spalla!».

Pol.: «Ma io sì, sì lo vedo questo schifoso corvo ed è come se la pronunciasse lui quella terribile frase “Tenero innocente corpo bianco”!».

E.: «Anch’io vedo il corvo sulla vostra spalla ,don Nicola!».

D.: «Anch’io! Ci sono altri che lo vedono tra i collaboranti volontari?». Un coro di voci: «Anche noi lo vediamo! Sì, sì lo vediamo!».

E.: «Mi sembra che non possano esservi prove più lampanti della presenza del diavolo perfino in questa sala, alla nostra presenza, a ostentare la sua intimità col parroco, che rappresenta il maggior rappresentante della Santa Chiesa a Malva, e che questo suo voler rivendicare pubblicamente la sua presenza sia un’eloquente prova della veridicità della testimonianza di Polimena, la quale si sta rivelando un’attendibile e completa fonte di prova. Lei ha il potere di vedere il diavolo immediatamente nell’atto di avvinghiarsi a un suo adepto, a indicarne il rapporto di possessione, e subito dopo anche altri possono vederlo e confermare quanto lei dice…».

Pol.: «Signor diacono, il diavolo… il diavolo… si sposta… lascia il corpo del parroco e si sposta sulla spalla del cerusico Porzio!».

E.: «Guardie, portatelo qui !».

 

Scena XVI

 

 

E.: «È davvero ripugnante, che un uomo di scienza come voi, cioè non dico proprio di scienza, ché certo non siete uno scienziato, ma che dovete aver studiato presso uno

 

speziale o una scuola in grado di attestare la vostra formazione, sia caduto in una condizione dello spirito così bassa da indurlo a praticare Messe Nere e riti demoniaci sotto la copertura di un presunto “esorcismo razionale”, il cui vero fine non era altro che abusare carnalmente di questa povera ragazza che io non temo di definire bambina. Dove vi siete diplomato in arti farmacologiche?».

C.: «Presso la Regia Università di Napoli, signor diacono».

E.: «Una delle accademie più prestigiose del mondo. Dev’essere costato un bello sforzo economico alla vostra famiglia mantenervi lì».

C.: «È vero, è stato un peso da portare sulle spalle per tanti anni, ma erano felici di avere un figlio e un fratello diplomato in arti speziali e io non li ho delusi. Nella mia materia sono assunto a grande competenza, che mi crediate o no».

E.: «Il credervi mi rende addirittura intollerabile la vostra vista. Come posso credere che un valente speziale abbia a scendere così in basso da fornicare con una bambina, lusingandola in chissà quali modi nel corso di orride Messe Nere tenute in sfregio all’Onnipotente nella Chiesa Matrice».

C.: «È ben noto che Polimena ha ventitrè anni e non è una bambina…».

E.: «È una bambina o peggio, nonostante i suoi ventitrè anni. Anche questo è diabolico: aver messo un cervello così infantile nel corpo di una giovane assai piacente. Ma perché non tentare di sedurla normalmente, come ogni uomo può fare con una donna, anziché ricorrere all’infamia della Messa Nera?».

C.: «Io non sapevo che quelle fossero Messe Nere, e ancora oggi ne dubito. Per me erano e restano un tentativo di esorcismo inizialmente non riuscito ma che dopo la nostra partecipazione è sembrato poter dare buoni risultati per la guarigione di Polimena».

E.: «E da cosa doveva guarire secondo voi visto che il diavolo la possedeva interamente e non era possibile altra via che l’esorcismo di Santa Madre Chiesa?».

C.: «Bene, lo dico ad alta voce: non credo affatto al diavolo e ad altre forze soprannaturali in casi del genere e neppure in generale. Per me Polimena si era avvelenata accidentalmente per l’abitudine, che avevo constatato numerose volte vedendola passeggiare in campagna con Zammara, di tenere tra le labbra uno stelo di malva, che ha un sapore simile all’anice, che non fa subito male alla salute, ma a lungo andare risulta nocivo, perché comporta un costante avvelenamento delle facoltà d’intendere e volere e altera il corretto stato di comprensione razionale nonché la capacità di limitare incubi continui e visioni, che possono capitare

 

eccezionalmente a tutti, ma non con la frequenza incessante con cui si verifica negli avvelenamenti da malva…».

  1. (interrompendolo): «Ma anche Zammara e forse molte altre donne hanno l’abitudine di porsi tra le labbra steli di malva e non hanno incubi e visioni come Polimena!».

C.: «Proprio di questo dialogavamo durante gli esorcismi razionali col protomedico Intraleo: io mi chiedevo come alcune persone potessero essere inclini all’avvelenamento da malva e altre resistessero senza mostrare alcun sintomo, come Zammara e tante altre. Forse Polimena è affetta da una costituzione sanguigna più debole della media che spiana la strada al veleno e gli permette di distruggere centri cerebrali importanti quali presidi contro la naturale tensione maligna del sogno e della vita fantastica».

E.: «E cosa sosteneva il vostro interlocutore?».

C.: «Che la malva non c’entrava nulla e la colpa era tutta da ascriversi ad un enorme disequilibrio a favore dell’umor nero melancholico su gli altri tre umori».

E.: «E l’altro, il sarto Filistella?».

C.: «Lui è un poeta e pensava che i sogni e le manifestazioni a carattere irrazionale di Polimena fossero poesie o opere d’arte mancate e cercava di capire come si potessero portare a realizzazione per renderla finalmente felice».

E.: «E qual’era il rimedio che voi proponevate per curarla?».

C.: « Riflettevo continuamente in presenza della malata, perché se fossi incorso in errore non avrei potuto che aggravare la sua condizione o esserle addirittura di nocumento fatale».

E.: «E mentre pensavate non facevate che toccare la ragazza, dico toccare, ma forse molto più, io credo».

Pol. (urlando): «Molto più, reverendo, molto più!Mi costringevano ai contatti più disgustosi e repellenti che la sensibilità umana possa provare! Io ero del tutto inerme nelle loro mani! Vedo figure! Vedo nere figure di animali diabolici accanto ai miei carnefici!».

D.: «Chi? Chi?».

Pol.: «Questo qui davanti, il cerusico Porzio, ha accanto un asino dalle appendici mostruose, che toccano il pavimento!».

D.: «E poi chi?».

Pol.: «Il protomedico Intraleo ha un cervo dalle lunghe corna». D.: «Chi ancora?».

 

Pol.: «Don Nicola, un serpente, un serpente proprio come lui!». D.: «E il sarto Filistella?».

Pol.: «Un maiale fetido, proprio come la sua anima». D.: «E Zammara?».

Pol.: «Zammara no, nulla, la mia cara mamma».

E.: «Cosa ricordate del cosiddetto “esorcismo razionale”?».

Pol.: «Zammara mi accompagnava alla Matrice. Lì trovavo già don Nicola, Porzio, Intraleo e Filistella. Al centro della navata trovavo un giaciglio rialzato dove venivo fatta stendere. I crocifissi e le immagini sacre erano coperti da drappi neri. Dopo avermi fatto bere la pozione, che mi veniva data dal cerusico, ed esser così entrata in stato d’incoscienza, Don Nicola pronunciava un falso Pater Noster che suonava più o meno così : “Padre nostro Satana, che ingiustamente ti trovi negli inferi, ma un giorno dominerai i cieli, dacci oggi il nostro male quotidiano, e non indurci mai a pietà, ma liberaci dal bene e permetti alla lussuria di sfogare i suoi desideri e visto che ci dai questa ragazza sia essa in tuo possesso e in vece tua nel nostro”. E da quel momento in poi, don Nicola recitando le sue mostruose orazioni e gli altri parlando di questa sostanza o dell’altra o di umori o di sogni o poesia abusavano di me, usandomi come una bambola di pezza».

E.: «Signor Duca, lo sviluppo del procedimento indica chiaramente la colpevolezza degli imputati, per i quali tutti chiedo la pena del rogo».

D.: «Voglio avere tutti gli scrupoli possibili prima di arrivare a questo. Intanto voglio sapere se ci sono cittadini di Malva che hanno qualcosa da dire sul cerusico Porzio». G:“Sono Genacco, marito di Vitula che ha parlato prima.Porzio è un malvagio, signor Duca. Quattro anni fa accadde che a causa di una prolungata malattia di mia madre

la nostra famiglia si era indebitata per comprare le pozioni prescritteci dal protomedico Intraleo, al punto da non aver più nulla da mangiare. Quando non avemmo più di che pagare, ottenemmo di avere qualche pozione a credito, ma visto che non potevamo saldare il debito – e cominciavamo ad avere il sospetto che lui ce la tenesse malata apposta con i suoi intrugli, per tenerci sempre sotto di lui e appropriarsi da un giorno del nostro fazzoletto di terreno a frumento – il giorno che ci chiese questo terreno noi rispondemmo che comunque valeva molto più di quanto gli eravamo in debito.Allora lui finse di voler rimandare la cosa e ci diede la pozione per quella settimana dicendo: “Per ora pensiamo a vostra madre. Per parlare del terreno c’è tempo”. Tornai a casa, somministrai la pozione a mia madre e lei

 

entro due ore morì tra spasmi atroci e urla. Ecco chi è il cerusico Porzio:un avvelenatore!».

D.: «Che avete voi da dire, cerusico?».

C.: «Non posso dimostrare la mia innocenza se non con un semplice ragionamento: visto che il debito dei Genacco era ancora inferiore al valore del terreno, non era mio interesse far morire la madre di quest’uomo, ma tenerla ancora in vita a lungo, fino al punto che loro non avrebbero potuto negarmi la sua cessione».

D.: «Io credo a Genacco. Voi gli avete ucciso la madre a ragione di un’improvvisa recrudescenza del vostro risentimento per non essere stato ancora pagato, senza badare a ulteriori conseguenze future. E ora, sempre per i miei scrupoli, forse eccessivi, voglio ascoltare gli altri due imputati, il protomedico Intraleo e il sarto- poeta Filistella».

 

 

 

Scena XVII

Il protomedico Intraleo davanti ai suoi giudici

E:.: «Conosciamo tutti assai bene la Teoria dei Quattro Umori che in varia miscela tra loro governano l’anima e determinano il comportamento umano: l’accidia, la melancholia, la collera, la flemma. La Chiesa al riguardo preferisce non esprimersi, considerandola più una sopportabile superstizione che non una teoria scientifica in aperto contrasto con la vera dottrina dell’unità dell’anima, nel qual caso la lotta sarebbe furibonda perché, come ben sapete, il Concilio di Trento non tollerò eresie di sorta, neppure a giustificazione scientifica,e anche a un secolo di distanza la validità della sua cristallina posizione resta incrollabile. Veniamo a Polimena. Qual era la vostra diagnosi dei mali accusati dalla ragazza? Innanzitutto, Polimena, vedete ancora un animale diabolico accanto al protomedico?».

Prot.: «Sì».

E.: «Che animale?».

Prot.: «Un cervo dalle lunghe corna».

E.: «Quindi il diavolo vuol confortarvi e proteggervi. Non ditemi che come scienziato non credete nel diavolo?».

Prot.: «Infatti io non credo nel diavolo».

E.: «Ma il diavolo crede in voi, come ben dimostra la visione di Polimena! Voi lo vedete, signor Duca?».

 

D.: «Un’ombra molto sfocata. Non ho certo la visione acuta di Polimena, frutto di tanta sofferenza».

E.: «Anch’io ho solo una sensazione. Ma Polimena è la voce della sofferenza e della più pura innocenza ed è per questo che ogni sua testimonianza ha il valore di assoluta verità del Vangelo. Protomedico, voi sapete che non credere nel diavolo è diabolico?».

Prot.: «Non credo nel diavolo».

E.: «Quindi avete un animo diabolico. Per questo il diavolo vi vuole tra i suoi e vuol proteggervi. Voi partecipate alle Messe Nere senza credervi, ma al diavolo va bene lo stesso perché comunque l’agnosticismo è eretico e dunque diabolico. Torniamo al punto. Da quale abnorme preponderanza di uno dei Quattro Umori dipendevano le manifestazioni demoniache di Polimena?».

Prot.: «Per me era un caso del tutto nuovo e lo stavo studiando. Penso che la melancholia prevalesse su tutto, con una potente intrusione di collericità mista ad accidia, che impediva alle inquietudini della ragazza di esprimersi con fenomeni liberatori comuni come crisi di urla e pianto ma attraverso visioni e la sostituzione del sonno alla vita reale, tanto da farla camminare mentre dormiva».

E.: «Moltissime persone potrebbero essere caratterizzate dal prevalere della melancholia con intrusioni di collericità e accidia, forse io per primo. Eppure non ho visioni degne di questo nome né cammino nel sonno. La vostra diagnosi era molto vaga, assai deludente per essere un uomo aduso di scienza».

Prot.: «Neppure io sono soddisfatto della Teoria dei Quattro Umori. Anche a me pare una giocosa semplificazione per spiegare ciò che non riusciamo a capire del comportamento umano. Forse gli umori sono molti di più, ovvero è possibile che ogni umore sia suddiviso in migliaia di piccoli umori, ognuno dei quali può reagire con altri in maniera imprevedibile e generare i più strani fenomeni visibili».

E.: «Così voi, mentre vi lambiccavate il cervello per capire se Polimena fosse affetta da un’alterazione di quattro o quattromila umori, vi dilettavate ad accarezzarla o peggio, vero Polimena?».

P.: «C’è quel cervo dalle lunghe corna che mi guarda fisso, per significarmi che è proprio lui, Satana. Era lui, il protomedico, con la testa di cervo ad affermare che ero solo un oggetto offertogli dal diavolo per il suo piacere».

E.: «Sentite, protomedico? La verità si svela per voce di questo angelo!».

 

Prot.: «Io affermo di aver toccato Polimena con castità una sola volta, per verificare che la fronte, il collo, i palmi delle mani, le caviglie e le piante dei piedi mostrassero la stessa temperatura e non vi fossero gravi disparità termiche, nel qual caso avrei potuto forse individuare una causa dei suoi malesseri e probabilmente trovare un rimedio».

E.: «Credete di soddisfare le esigenze della verità giocando con le parole? Dite che una sola volta l’avete toccata con castità, per questa ridicola storia delle temperature di cui non ho mai sentito parlare prima d’ora. E va bene, vi credo: l’avete toccata una sola volta con castità, e tutte le altre senza castità!».

Prot.: «L’ho toccata solo quella volta e basta!». E.: «Polimena, è vero?».

P.: «No, reverendo, ha abusato di me nel modo più perverso un gran numero di volte».

E.: «La voce della verità è trasparente. Signor Duca, io riterrei concluso l’interrogatorio degli uomini di scienza, che ha dimostrato con chiarezza come il cosiddetto “esorcismo razionale” di cui parlano don Nicola, il cerusico Porzio e il protomedico Intraleo non sia che una vergognosa mistificazione inventata per mascherare il più vile abuso di una quasi bambina, perpetrato nel nome di Satana».

D.: «Prima di emettere la sentenza non resta che interrogare il sarto poeta Filistella».

 

 

 

 

 

Scena XVIII

 

 

L’uomo viene accompagnato davanti al diacono Eusebio. Sembra sia cieco. E.: «Siete cieco?».

Filistella: «Vedo, ma non con gli occhi».

E.: «Vedete i sentimenti, i pensieri, le anime?».

F.: «Dalle parole ricavo i sogni».

E.: «Vi ritenete un buon cristiano?».

F.: «Un peccatore sopportabile».

E.: «Visto che siete cieco non sarà facile per voi peccare».

F.: «Sono un peccatore per vocazione, non per effettuazione».

E.: «Ritenete perciò di aver diritto a un trattamento più favorevole?».

F.: «Spero di no, che altrimenti lo stesso peccato mi risulterebbe insulso».

 

E.: «Ci sono cattive testimonianze su di voi. Vi si accusa di atti orribili».

F.: «Anche Gesù Cristo fu accusato di fatti orribili».

E.: «Non osate paragonarvi al nostro Redentore. Ascoltiamo le testimonianze a vostro carico. Parli Polimena».

P.: «In chiesa, di notte, c’era anche lui, e non so se mi toccava o no, ma di certo mi fissava in modo continuo con i suoi terribili occhi vuoti di sguardo comune».

E.: «Non aveva uno sguardo ordinario? Ne aveva uno straordinario?».

P.: «Non aveva nessuno sguardo. Di lui non si può dir nulla, è il più perfido di tutti».

E.: «Corre voce che siate un poeta. Declamateci qualche vostro verso».

F.: «Non lo faccio mai per nessuno. Li scrivo nella mente e basta».

E.: «Li dedicate forse a Satana?».

F.: «Li dedico a me stesso».

E.: «Passiamo ad altro. A cosa facevate risalire i misteriosi fenomeni psichici di Polimena?».

F.: «Polimena è una cara ragazza, dolce, delicata, molto fantasiosa. Quando era distesa nel giaciglio al centro della Matrice, mentre ognuno degli altri faceva ciò che riteneva più giusto, secondo le sue convinzioni, io la interrogavo sui suoi sogni e tentavo di capire cosa significassero. Erano comunque sogni bellissimi, che potevano venir espressi solo da un’anima nobile».

E.: «Fate un esempio».

F.: «Polimena sognava spesso che una montagna nuda, isolata, senza ombreggiatura di alberi, misera quante altre mai, continuamente battuta da venti furiosi, pioggia incessante e fulmini, all’improvviso conoscesse una breve ora di pace e che nel suo fianco nascesse un glicine o una rosa o una margherita e così via, ma sempre un fiore unico su una montagna sola: questa rappresentava sempre sua madre, mentre il fiore era lei medesima. Camminare nel sonno per lei significava cercare la madre anche nello stato di più completa incoscienza e parlare non era altro che compiere una serie di mascherate invocazioni della madre, ora chiamata Terra, ora Luna, ora Montagna e in molti altri modi».

E.: «Ammesso ciò, in che modo contavate di guarirla?…».

F.: «La guarigione sarebbe stata lentissima, ma sarebbe avvenuta. L’importante era che un passo dopo l’altro Polimena si rendesse conto che tutta la sua vita, in ogni sua manifestazione cosciente o meno, era dominata dalla ricerca della madre, la madre che aveva avuto una vita tanto infelice ed era morta che era così piccola. Poi forse,

 

non potendo sostituire debitamente l’immagine della madre con la matrigna Zammara, avrebbe però potuto identificarsi con la madre lei stessa, sposandosi e diventando madre e rivivendo così il significato della maternità, con il che si sarebbe compenetrata davvero con la madre perduta».

E.: «Sembrerebbe un discorso ragionevole. Ma ditemi, mentre ascoltavate i sogni di Polimena, la toccavate?».

F.: «Non l’ho mai toccata in alcuna parte del corpo, tranne che in fronte». E.: «Polimena, Filistella vi toccava?».

P.: «Come e più degli altri! Era il peggiore della compagnia! Quand’ero inebetita dalla bevanda “liberatrice”, con la scusa di ascoltare le mie inutili chimere non faceva che strusciarsi contro di me e allungare le sue mani rapaci sulle mie parti vergognose».

F.: «Non feci mai nulla di tutto ciò. Forse Polimena ricorda male o mi scambia con qualcun altro».

E.: «Polimena, vedete un animale accanto a lui?». P.: «Sì, reverendo».

E.: «E quale?».

P.: «Un bue nero dalle lunghe corna aguzze e le appendici bene in vista».

E.: «Visto che insistete nel difendere la linea dell’ “esorcismo razionale” a fin di bene, ammetterò delle altre testimonianze su di voi, che mostrino in pieno la vostra natura turpe e senza scrupoli».

Coll.: «Reverendo, chiedo la parola». E.: «Chi siete voi?».

Coll.: «Mi chiamo Zancatri e sono collaborante volontario». E.: «Che avete da dire voi?».

Coll.: «Questo sarto che sembra inesistente, un povero cieco incapace di nuocere è il mostro più perverso che ci sia al mondo».

E.: «Cosa volete dire?».

Coll.: «Che non è un vero cieco, o per lo meno, se lo è, ha il potere di sottrarre ai nostri figli le loro figure esteriori e a recarsele nell’abisso del suo inferno, tenendole prigioniere dei suoi luridi istinti primitivi. Infatti costui, nella sua turpitudine, alle ragazze o donne d’età legittima predilige gli infanti, maschi o femmine, in età di Prima Comunione».

E.: «L’accusa è così grave che non potete astenervi di darne adeguata spiegazione».

 

D.: «Fatemi capire. Come accade che un cieco rubi l’immagine ai bambini e ne approfitti in modo esecrando?».

Coll.: «Ecco, vostra eccellenza. Al tempo della Prima Comunione, le famiglie più povere, che non hanno la possibilità di vestire in modo acconcio alla cerimonia i loro figli, li mandano a spese di don Nicola nel laboratorio di sartoria di Filistella, perché possa prendere le misure per le loro vestine da cerimonia».

E.: «Ed è in quei momenti che abusa di loro? Li tocca nelle parti vergognose mentre finge di prender loro le misure delle vestine?».

Zancatri: «No, fa di peggio, reverendo. Egli se ne sta lontano dai bambini, che entrano uno alla volta con le loro madri, le quali son esse a prendere le misure con un apposito metro, mentre lui le annota a matita su un taccuino. Quando solleva il viso guarda la scena con uno sguardo da cieco impostore. Quindi appronta le rudi vestine e le consegna dieci giorni prima della cerimonia. Ma vi assicuriamo che per la maggior parte dei bambini e delle loro famiglie sono dieci giorni di supplizio nelle mani del demonio».

E.: «E come accadrebbe tutto ciò?».

Zanc.: «In quei giorni i nostri figli, anziché mostrarsi lieti di andare al primo incontro con Cristo, appaiono abulici e privi di forze, rifiutano il cibo, sono assenti e svuotati di forze, mentre lui se ne sta chiuso nel suo alloggio e non risponde a nessuno, neppure se gli percuotano con violenza la porta».

E.: «E la prova del male in tutto ciò?».

Zanc.: «Sembra che qualcuno, attraverso la porta, gli abbia sentito chiamare il nome dei bambini, come se li rincorresse giocosamente nella stanza nell’atto di mettere in opera le sue nequizie».

E.: «E come si spiegherebbe questo, secondo voi?».

Zanc.: «Tutte le madri ormai sono d’accordo sul fatto che lui riesce a separare con i suoi terribili occhi la parvenza del bambino della sua realtà fisica, riuscendo a conferire verità reale alla prima e mortificando la seconda. Cioè, in quei giorni, il vero bambino è la sua figura, che lui, il perverso Filistella ha catturato e con la sua fantasia può farne quello che vuole perché fantasticare su una figura è realtà, così la gente pensa. Ed è solo quando le vestine vengono restituite e scucite da Filistella che l’incantesimo finisce e i nostri figli tornano lentamente alla normalità. Ma tutti riferiscono che anteriormente alla Prima Comunione hanno attraversato una grotta dove un uomo cieco non faceva che accarezzarli in modo sconcio e compiere su di

 

loro atti irripetibili. Pertanto noi giudichiamo che egli approfitti degli innocenti separandone le figure dal corpo per diversi giorni con incantesimo che non sappiamo contrastare».

Il diacono Eusebio consulta il Malleus Maleficarum

E.: «Ecco, ho trovato. È in latino ma ve lo traduco: “In demonologia si dà distacco tra la figura della persona e la persona medesima. Quest’ultima in generale opera in buona armonia con la prima, dandole una stabile collocazione di tempo e di luogo, ma maggiore importanza è dell’uomo o della donna o dei bambini in figura, perché è nella figura mobile che si collocano l’anima, le facoltà intellettuali, il carattere, le volizioni e i ricordi del subjectum. La parte aerea e mobile della persona può recare in sé quanto di più divino pertenga all’essere umano come quanto di più demoniaco, se la figura, mobile com’è, viene intercettata da forze diaboliche. La figura viene spinta in cielo verso Dio in caso di meritevole collocazione nell’aldilà. Il corpo corruttibile che l’ha sostenuta in terra decade, ma la figura, con tutte le sue facoltà intellettive, volitive, mnemoniche permane ed è l’anima che si mostra al cospetto di Dio. Ma se la figura è traviata da avidità, incoercibile sensualità, irriguardosità verso l’Onnipotente, essa è quanto di più turpe l’uomo possa presentare di se stesso all’Eterno ed è in grado di compiere in numero se gravissime azioni malvage. La figura può staccarsi dal corpo ed essere utilizzata dal demonio in vari modi: mentre il soggetto si trova in un luogo, la sua figura può essere inviata altrove a compiere ogni sorta di turpitudini, partecipare a sabba e malefici vari. Può così compiere ferimenti e omicidi, per quanto il soggetto visibile resti ben lontano dalle sue vittime. Inoltre, individui dotati di particolari qualità demoniache possono catturare con lo sguardo satanico altri individui in figura( in questo caso quelle di innocenti bambini in età da Prima Comunione) e abusarne a loro piacimento, riuscendo, grazie alle loro conoscenze di magia nera, a ritrasformare le figure in individui sensibili nei luoghi infernali dove hanno confinato i simulacri privi di corpo”. Ed è questo sicuramente il caso del sarto Filistella, confermato dalle madri dei piccoli: col suo sguardo malefico, mascherato da una presunta cecità,e l’aiuto di stoffa incantata separava i bambini dalle loro figure, che riusciva a catturare nel suo mondo tenebroso, a ridare loro corporeità in modo ancora a noi sconosciuto e ad abusarne nel modo più bieco, mentre i corpi sensibili dei bambini restavano alle madri come poco più che cadaverini, fin quando non avveniva la Prima Comunione e i loro miseri abiti restituiti. Non v’è dubbio che egli abbia operato al massimo demonismo

 

possibile e che pertanto meriti la più severa delle punizioni. La parte riguardante il sarto Filistella si chiude qui e con questo l’intero procedimento, che ha potuto svolgersi con efficacia grazie alla testimonianza assolutamente veritativa di Polimena, ognuna delle cui parole si è dimostrata ed è stata accettata come fonte assoluta di verità. Adesso è venuto il momento di concludere con le condanne».

Pol.: «No, reverendo, non è ancora venuta l’ora della sentenza. Ho subito violenza anche da altri».

E.: «Questo non lo sapevamo. Da chi?». Pol.: «Da voi».

  1. (incredulo): «Da voi, chi?». Pol.: «Da voi e dal duca».
  2. (furente): «Ma che dite, pazza? Cosa vi passa per la testa di oltraggiare pubblicamente le nostre eccellenze?».

Pol. (urlando ansimante alla folla): «È successo nella sala temporaneamente adibita a sacrestia… Prima mi chiedono… “Cosa ti facevano durante la Messa a Satana? Raccontacelo dettagliatamente…”Io sono molto vergognosa e balbetto… Allora loro dicono… “Tu sei una magnifica ragazza, ma tanto sfortunata e preda di tanti rapaci… Ti facevano questo, forse?”. E mi toccano. “Oppure questo?” E così via, ripetendo tutto quello che mi avevano fatto i nemici di Cristo,tutto,dico,tutto!».

La folla rumoreggia

«Apostati! Traditori di Cristo».

D.: «Osate parlare così al vostro Duca che vi ha promesso un grande futuro ma potrebbe farvi impiccare tutti o tagliare la testa all’istante!».

Uno della folla: «Saremo noi a farvi a pezzi! Abbiamo roncole, asce e pugnali!». Un altro: «Come avete potuto fare lo stesso dei nemici di Cristo?».

D.: «E voi date credito alle farneticazioni di una povera pazza che si rivolta contro i giudici che volevano renderle giustizia?».

Pol.: «Pazza? Non ero pazza quando accusavo gli esorcisti razionali e lo sono ora che dico la verità su di voi? Non ero pazza prima e non lo sono neanche ora!».

E.: «Lasciando da parte la mia dignità ecclesiastico e comportandomi come un comune figlio di Dio, fallibile e peccatore io stesso, giuro che non ho mai commesso atti impuri nei riguardi di Polimena né di alcun altra donna su questa terra».

Il popolo: «Spergiuro! Spergiuro!».

 

D.: «Ma perché dar credito a una ragazza stanca e provata dalla lunghezza di questo processo, tanto da dar fuor di testa e non ragionare più?».

  1. N.: «Il popolo è inferocito, non vi crede».

E.: «Polimena è vittima del demonio, che in questo momento è più potente di noi! Forse abbiamo sbagliato a tenere questo processo qui, nella masseria ducale, dove i simboli di Cristo non sono sufficientemente forti, anziché nella Matrice che è la sua casa».

P.: «Il demonio? Il demonio ce l’avete accanto! Diacono Eusebio, non vi rendete conto, che il diavolo ce l’avete accanto, proprio lui l’ombra nera di Satana che vi tiene il braccio sulla spalla, fraternamente, mentre un serpente nero si attorciglia tutt’attorno a voi, come chi voglia difendervi a tutti i costi dalle giuste accuse che vi muovo? Popolo di Malva, vedi quello che vedo io, due ombre nere, una accanto al diacono Eusebio, in forma di Belzebù, e l’altra come serpente attorcigliato al duca?».

Il popolo di Malva: «Sì, sì lo vediamo tutti! Siamo pronti a scannarli». Duca: «Uomini a me! Preparate la difesa!».

Gli uomini del Duca non si muovono.

D.: «Vigliacchi! Codardi! Vedrete che fine vi farà fare il re di Spagna quando saprà del vostro tradimento!».

Don Nicola: «Basta! Basta! Non una goccia di sangue sarà versato che non sia il mio, di cui faccio dono alla causa della pacificazione!».

Il Duca, fuori di sé, sfodera la spada e si lancia contro Polimena:

«Avevamo fatto di voi la bocca della verità, bugiarda! Morite!» ma prima che il colpo possa abbattersi su di lei gli sgherri lo bloccano e lo trascinano via.

E.: «Portatelo nella sua stanza da letto e chiudetevelo dentro, con qualche bottiglia di Porto della nostra riserva. Credo che si calmerà presto e allora andrò a trovarlo. Poi si vedrà ciò che faremo». Poi rivolgendosi alla folla: «Io ripeto il mio giuramento: non ho mai compiuto atti impuri nei confronti di Polimena né proferito parole indegne verso di lei né ho tentato di indurla a raccontare in dettagli eventi vergognosi nei confronti di cui essa avrebbe potuto avere una giusta riluttanza a esprimersi in modo particolareggiato e lo stesso posso dire del Duca, anche se non posso giurare al suo posto. Il punto è che all’inizio del nostro dibattimento abbiamo assunto che sulla base della concordanza tra asserzioni e fatti concernente le precedenti dichiarazioni di Polimena, così come sulla palese profondità delle sue sofferenze e del suo disinteresse nella ricerca della giustizia, la sua testimonianza

 

potesse essere assunta come fonte della verità. In ciò abbiamo creduto, tentando di condurre il processo contro i nemici di Cristo con senso di giustizia e nella convinzione d’essere rettamente guidati da fede e ragione. Ora, è possibile che questo tremendo finale sia stato concepito da Polimena fin dall’inizio, che accreditandosi come suprema garante della verità, ha prima coperto di accuse, vere o false o anche solo esagerate, dei personaggi molto in vista di Malva. Costoro hanno sì commesso i fatti, oppure son semplicemente stati al gioco, compiendo la più pericolosa manovra immaginabile per salvare sé e il paese dalle ambizioni del Duca secondando la terribile tela di ragno di Polimena, che forse da sola, forse consigliata o guidata da Zammara, si è rivelata la più fine mente diabolica che io abbia mai conosciuto. Così, come principale conduttore del dibattimento, mi trovo di fronte a tre vie: se ammetto che Polimena abbia sempre detto la verità,anche io e il duca,oltre agli imputati, ci troveremmo a dover essere condannati per aver commesso nel nome di Cristo dei gravi atti impuri; se invece ha detto sempre il falso, tutti gli imputati dovrebbero essere prosciolti, noi compresi; se, infine, essa ha detto qualche volta la verità e qualche altre il falso dovremmo cercare un criterio assolutamente oggettivo, indipendente dalle nostre convinzioni e sentimenti, per stabilire quando ciò è accaduto. Solo l’intelletto di Dio è così grande da potervi riuscire. Per questo non rimane che una conclusione, la sola a cui possa pervenire una mente non certo priva di dottrina come la mia: ciò di cui Polimena accusa me e il Duca non è accaduto, ma poiché abbiamo stabilito che essa è la fonte primaria della verità, lo assumiamo comunque come vero, e così tutto risulta vero, gli abusi che essa subì nella notte della Chiesa nel nome dell’Anticristo e quelli che dice di aver subito nella sala adibita a sacrestia per opera mia e del duca. Tutto è vero della verità dei sogni, dove l’impossibile è plausibile e la realtà fisica dove l’uomo patisce malattie dolorose è più remota della più piccola stella del cielo notturno. Lasciamo dunque che tutti gli attori del sogno, me compreso, e il duca che fu di Malva ma più non sarà, come un giorno son comparsi all’improvviso sulla scena ora scompaiano nel mondo delle chimere».

Esce dalla sala mentre gli abitanti di Malva esultano e Polimena abbraccia Zammara e dice a don Nicola, al cerusico Porzio, al protomedico Intraleo, al sarto Filistella e al popolo tutto:

«Mai come oggi ho detto verità più false e falsità più vere. L’arrivo del Duca e del diacono è stato un brutto sogno, che io, dando prova di tutta la malvagità possibile

 

del mio cuore, con l’aiuto straordinario di Zammara ho trasformato nel più orribile degli incubi, dove gli stessi accusatori si sono perduti. Viva la libertà di Malva!».

Il popolo applaude. Tutti i cittadini si riconciliano tra loro, resistenti e collaboranti.

 

 

 

Scena finale

 

 

Intorno a mezzodì il diacono Eusebio bussa alla porta della sacrestia della Matrice. E.: «Ho terribili notizie, don Nicola».

d.N.: «Prego, accomodatevi».

E.: «Intanto però devo chiedervi perdono per il male che ho tentato di fare a voi e ai vostri parrocchiani. Senza dubbio il Duca voleva ridurvi in schiavitù usando la paura del demonio e io purtroppo mi sono conformato a questa sua idea. Ma stanotte è morto».

d.N.: «Morto? Che dite?».

E.: «Sì, è morto poco prima dell’alba, dopo una notte di indicibile delirio». d.N.: «Raccontatemi».

E.: «Prima però promettetemi d’accettare la mia umile persona come aiutante di sacrestia, come semplice ausiliario del vostro magistero».

d.N.: «Sì, va bene, ma il pane dovrete guadagnarvelo, anche con la zappa, nella proprietà della Chiesa».

E.: «Non chiedo di meglio. Andrò in giro per il paese a raccogliere l’elemosina e predicare il Vangelo e mi occuperò di qualsiasi problema in cui possa essere d’aiuto ai parrocchiani».

d.N.: «Siete stato a un passo dal mandarmi al rogo. Capirete che è un po’ difficile accettare la vostra richiesta».

E.: «Il perdono cristiano è più forte di ogni pur comprensibile rancore».

d.N.: «Pur trovandovi nel torto e nel bisogno non sapete rinunciare al tono di chi da’ ordini».

E.: «Vi prego di perdonarmi questa cattiva abitudine».

d.N.: «Eppure non mi chiedete se posso perdonarvi, ma di ordinare di farlo. Obbedisco al vostro comando e rimetto i vostri debiti come voi li rimetterete ai vostri debitori. Ora raccontatemi cosa è accaduto».

 

E.: «Quando vado a cercarlo nella sua stanza, che avevo fatto chiudere a chiave dall’esterno, lo trovo in pieno delirio collerico: “Aveva ragione Polimena a indicare in voi il diavolo! Rinchiudermi dentro! E va bene, va bene! Basta! Andate via!”. Dopo un po’ mi sento chiamare imperiosamente “Diacono! Diacono!”. Vado a vedere. Lo trovo che si rotola sul letto. Appena mi vede fa: “Diacono, sono i miei ultimi istanti. Ditemi cos’è meglio per la mia anima». E io: “Dare prova di ravvedimento al cospetto di Dio Onnipotente e arrivare a lui con l’anima sgombra di peccati”. “Allora – fa lui – domani, quando sarò morto date trecento ducati ai processati e mille a Polimena”. “Lo farò, signor Duca”. “Ora lasciatemi solo, cercherò di pregare per me stesso”. Dopo qualche minuto però si riprende mi chiama di nuovo e mi fa: “Diacono, domani quei sei li voglio impiccati!”. E io: “Signor Duca, per mettere su la forca occorrerà certamente più d’un giorno”. E lui: “Al diavolo! Torna il dolore! Datemi un’ostia sacra, che me ne vada in pace con Dio!”. “Dobbiamo provvedere al sacramento della confessione”. “Non occorre, diacono, datemi l’ostia. Dio sa già tutto di me”. Gli do’ l’ostia, l’inghiotte, si stende sul letto e dopo un po’ sembra star meglio. “Dio vuole così – dice – mi avvicina col dolore e mi allontana facendolo placare. Il significato è chiaro. Non vuole che lasci il mondo senza aver prima fatto giustizia. Se per mettere su la forca occorrerà un intero giorno, basteranno delle scariche di moschetto dei miei uomini per cacciare quei sacrileghi nel regno del demonio! Andate dagli scherani e dite loro d’esser pronti a catturare e giustiziare i prigionieri all’alba. Poi tornate a riferirmi”. Mancai un po’ di tempo. Tanto occorse per riunire gli uomini e formare il plotone che avrebbe dovuto eseguire la sentenza. Quando tornai il duca era rigido, stecchito. Non poteva più fare né il bene né il male né dare ordini ad alcuno, istruire processi, condannare, graziare. Tutti i suoi sogni di grandezza si erano spenti di colpo nel suo risveglio al cospetto divino. Gli diedi i conforti post mortem e ordinai agli scherani di seppellirlo in un orto minore della masseria ducale e ora mi presento a voi sperando di poter compensare con le mie opere future le tante cattive azioni compiute in passato e che lo sguardo di Dio benignamente m’impedì di portare a termine».

d.N. (abbracciandolo): «Caro diacono, il diavolo inganna tutti, inquisitori e inquisiti».

E.: «Se ricordate il nostro primo dialogo, il diavolo fa tra gli uomini ciò che Dio l’autorizza a fare poiché quest’ultimo spera di veder emergere dal fango dell’inganno, della calunnia e del tradimento uomini e donne che rassomiglino a suo figlio fattosi uomo e morto sulla Croce».

 

II danza di Zammara

E ora ballate, ballate tutti che la vita ci dia nuovi frutti

scordate i dolori, scordate i lutti! Ci han marchiato come pagani apostati, eretici e musulmani fedeli del diavolo o luterani!

Ma non c’importa di questa semenza: noi liberi, a loro la scienza

che di cotali si può fare senza!

E ora ballate, ballate con me ballate stasera, che meglio non c’è ognuna regina ed ognuno sia re!

 

mmara

 

Com’è la vita? Ora dolce ora amara. Chi ce la dona non si sa.

La Madre Terra ,che non è avara, lei di gran cuore ce la da’.

E anche le Stelle e la Luna cara oppure il Sole, eccellente maestà.

 

Anche in cent’anni la vita è assai breve, come durare dall’alba al tramonto.

Tale il liquore che lesto si beve, ma è così amaro nell’ora del conto: non c’è denaro che basti e si deve

sgombrare il campo, oh quale affronto!

 

 

Dammi retta, non fare del male

e il bene a chi vuoi,per prima a te stessa, pensa al presente, il futuro non vale!

Pari saranno servente e duchessa, plebe ignorante e gran corte imperiale, i peccatori e chi poi li confessa.

 

Pensate a vivere come potete

che come finisce di già lo sapete.

E quando sentite sul capo la rete gridate: “Ho ben vissuto!”. E ridete!

 

Scena I

Malva,Val Demone,Sicilia,1660

Duca di Malva: «Devo riconoscere in tutta onestà, caro diacono Eusebio, che non immaginavo esistessero in Sicilia dei luoghi così belli e alberati, come questa regione dallo strano nome, Val Demone. Sembra quasi il regno di Satana. Perché l’han chiamata così?».

Eusebio: «La cosa ha sorpreso anche me. Peccato non aver avuto il tempo di fare qualche ricerca filologica nella biblioteca del Sant’Uffizio. Non c’è dubbio che il nome Val Denone sia inquietante, di contro alla trasparenza delle altre due regioni amministrative della Sicilia, il Vallo di Mazara e quello di Noto. Tuttavia questa regione ha un nome più specifico, Monti Nebrodi, dal greco nebros, che vuol dire cerbiatto. Quindi Monti Cerbiatti».

D.: «Sicuramente è così. Là infatti ce n’è uno che si è appena affacciato. Presto, Armando e Pedro, inseguitelo e procurate carne di cerbiatto per il pranzo di oggi».

I due si lanciano con i moschetti, sui loro cavalli, a caccia del cerbiatto.

D.: «Eccomi qui,io sono il duca di Malva!Ah ah…… Che bel risultato per la mia carriera aristocratica!».

E.: «Non siete soddisfatto? E poi siete ancora giovane. Malva non è che l’inizio della vostra ascesa, signor Duca».

D.: «Speriamo sia davvero così. Se avessi potuto continuare a servire il nostro re nel viceregno del Perù, dove gli ho reso tanti bei servigi contro gli indigeni pagani e i fazenderos indipendentisti, sarei diventato ricchissimo e così potente da poter aspirare alla carica di vicerè. La colpa è mia, che ho soggiaciuto al mal d’Europa senza saper resistere alla nostalgia di questa parte del mondo e così ho dato modo al Re di compensarmi col più misero dei feudi del demanio reale. Duca di Malva. Cos’è Malva? Il più sperduto casale delle campagne siciliane!».

E.: «Secondo il detto, da cosa nasce cosa».

Si sentono alcune urla gutturali e spari di moschetto.

D.: «L’hanno preso. Vuol dire che oggi mangeremo carne di cerbiatto».

E.: «Eccola lì, Malva, dietro quella foresta. Certo è un piccolo paese accovacciato sotto il cielo. Non vedo né castello, né torri di guardia. E poi, la sua Patrona, Santa Luneide… Che strano, non ho mai sentito parlare né letto alcunché di questa santa. Dovrebbe essere di origine orientale,probabilmente greca, ma ho il sospetto che dietro vi sia il culto pagano della luna. Si dice che in Val Demone si preghino

 

contemporaneamente la Vergine Maria e la Sibilla, la Luna e le Stelle. Addirittura alcuni preti rendono omaggio in segreto anche al diavolo, pensando che questi era in fondo l’angelo prediletto da Dio e in quanto angelo, suo figlio, anteriore a Gesù Cristo, tanto da poter vantare dei diritti sull’Universo. Del resto anche la Chiesa riconosce che il diavolo mette alla prova gli uomini con il permesso di Dio. Pertanto qualcuno giuge alla paradossale conclusione che vi sarebbe una sorta di accordo implicito tra loro e che il principe del male serva Dio più efficacemente degli angeli e pertanto meriti grande rispetto».

D.: «Sono concezioni astratte, Eusebio».

E.: «Posso ben riconoscere che la dottrina del diavolo non è sta affrontata dalla Chiesa col rigore necessario e che neppure le bolle papali hanno fatto alcuna chiarezza in merito».

D.: «Tutti questi faggi e querce mi mettono inquietudine. A che servono? Tolgono soltanto calore al suolo. A suo tempo ne faremo legname per costruire navi. Lasceremo scoperta questa terra che non è stata toccata per secoli da mani contadine e ne faremo un granaio con cui potrò costruire un castello qui a Malva e un bel palazzo ducale a Palermo».

E.: «E come pensate di coltivare la terra che otterrete dal disboscamento? Questi contadini sono mezzadri, che producono quanto basta per le loro famiglie, più l’eccedenza a beneficio del re e della Chiesa. Gente nata povera e che tale vuole restare. Lavora non più di qualche mese l’anno e per il resto è abituata a oziare senza industriarsi a fare più di quanto occorra per sopravvivere».

D.: «E cosa fanno durante il tanto tempo libero che gli resta?».

E.: «Si godono i diritti consuetudinari di far libera caccia e legna nei boschi, raccolgono i frutti spontanei che con questo clima mite certo non mancano. Poi gli uomini vanno in taverna, giocano a carte e a dadi e trincano vino, mentre le donne si occupano della casa e delle piccole occupazioni domestiche».

D.: «Suppongo che vengano praticati anche riti magici pagani ed evocazioni di Satana, che preferisce i boschi ai campi aperti dello spirito che vede le anime».

E.: «Ogni tanto il vostro spontaneo misticismo mi sorprende, signor Duca. Siete stato avventuroso e devotissimo, spietato difensore delle proprietà reali contro gli indios e i fazenderos del Perù, eppure pensate di sovente al futuro della vostra anima».

D.: «Mi avete fatto venire in mente la cattedrale Quixo, la più grande e sfarzosa del Perù dopo quella di Lima, frutto dell’ingegno dell’architetto Alvarez, ma anche

 

della mia spietatezza, ché seppi trasformare in manovali-schiavi gli indios fannulloni che ronzavano attorno alla città .Inoltre mi feci dare con le buone o le cattive le somme che occorrevano dai fazenderos e dalla borghesia cittadina, dai poveri e dalla Chiesa stessa. Ricorda, Eusebio, una grande opera che sarà ammirata dalle generazioni future, forse per secoli, richiede la massima ricchezza, concentrata in poche mani e la miseria estrema.Occorrono uomini che vedano lontano nel futuro e sappiano decidere quali misure occorrano per arrivarvi, usando qualsiasi mezzo serva allo scopo. Cosa fanno questi contadini liberi di Malva? Non son buoni a nulla! Non sono stati neppure capaci di coltivare a dovere i loro terreni e passare dalla condizione di mezzadri a quella di liberi fornitori reali, ciò che li avrebbe resi ricchi, anche se avrebbero dovuto lavorare con maggiore impegno e Malva non sarebbe stata più quel fondo rancido di bicchiere che è ancora adesso. Tu ritieni granchè degna di rispetto questa libertà?».

E.: «Se non contraddice la lettera e lo spirito del Vangelo la reputo senz’altro rispettabile».

D.: «Lasciate stare le Sacre Scritture, che nella vita quotidiana servono a ben poco e ditemi se non rimpiangete quante cose che ci sopravvivranno abbiamo realizzato in Perù con gli indios trasformati in perfetti lavoratori».

E.: «Morivano come mosche,certo, ma hanno compiuto grandi opere che dureranno nei secoli gli edifici pubblici, i palazzi aristocratici, le chiese, la Cattedrale».

D.: «Servimmo Nostro Signore quando adoperammo ogni mezzo per piegare la volontà degli indios e della borghesia indipendentista per fare grande la Spagna e affermare il primato assoluto della nostra religione su ogni altra e massimamente sull’idolatria. La menzogna sistematica e la tortura sono ben giustificate quando Nostro Signore si trova davanti un agguerrito schieramento di demoni. Né pietà né verità possono averla vinta contro tanta malizia e allora i processi per stregoneria, la corda, la mannaia e i roghi sono armi necessarie e sante».

E.: «Sono anni che cerco di convincermi che è proprio così, ma non sempre ne sono certo».

D.: «Smettete di dubitarne, diacono Eusebio. Abbiamo fatto cose grandi, siatene orgoglioso, e altre dovremo farne qui a Malva».

E.: «Voi assimilate questi contadini cattolici, almeno di nome, agli indios del Perù?».

D.: «Avete notato come lungo il percorso non abbiamo notato un solo altarino sacro e invece tanti segni strani, indecifrabili?».

 

E.: «Roba da pastori, limiti di pascolo».

D.: «Perché non usare altarini sacri?».

E.: «Retaggi di età arcaiche, quando non dico il cattolicesimo, ma neppure il paganesimo avevano messo piede da queste parti».

D.: «Non sarà una spiegazione del nome Val Demone?».

E.: «Mi sembra probabile».

D.: «Credetemi, Eusebio: qui a Malva c’è il demonio. Il nostro amatissimo Re non ha fatto alcuna fatica a compensarmi con feudo che nessun altro vuole. Ebbene, accetteremo la sfida, trasformeremo Malva fin dal nome, per esempio in San Pietro in Val Demone, e lo faremo diventare un grande centro pulsante di cristianità, commercio di grani pregiati e altro. I contadini dovranno scegliere se lavorare per la grandezza di Malva o venir liberati, a costo della vita, dalla presenza del diavolo. Capite ciò che voglio dire, Eusebio?».

E.: «Siamo in bilico tra salvezza e perdizione,signor Duca».

D.: «Ho già riflettuto sulla faccenda e sono giunto alla conclusione che ci serve al più presto di individuare una strega vera, che di sicuro c’è e noi la troveremo, e una voce dell’innocenza, che ci aiuti a costruire l’accusa, sempre che i contadini oppongano resistenza ai miei disegni».

E.: «Intendete certo riferirvi alla vostra antica tecnica del Vaso di Pandora: scoperchiare i segreti del paese, portare alla luce gli odi, le rivalità, i rancori, i desideri di vendetta che tutti normalmente covano nei confronti di tutti, esaltare al massimo la potenza negativa di ciò fino a far sognare il ritorno della pace, a qualsiasi prezzo».

D.: «Qualche rogo, non molti, sanciranno la purificazione del paese e la sua successiva pacificazione. Una strega, almeno una, ce la faremo a trovarla, no?».

E.: «Certo, signor duca, non c’è da dubitarne. Le streghe esistono davvero e le troveremo».

D.: «Ce l’avete ancora quel libro… non ricordo il titolo…».

E.: «Il Malleus Maleficarum,di Sprenger e Institor. Si può dire che lo conosca a memoria».

D.: «Bene, diacono, mettiamoci all’ opera».

 

Scena II

 

 

Di notte, in una piana agreste con vegetazione bassa, sotto la luna:

Zammara:    “Oh luna chiara

che a notte sei accesa se ti nascondi

il buio come pesa oh luna cara

io sono in tua attesa oh luna piena

che allevi la pena oh luna bella

che riempi la cesta d’erba lunatina

e fioridistella.

 

 

Polimena: «Zammara, Zammara, sei una straordinaria cantante… sottovoce!». Z.: «Vuoi che canti a voce di petto? Che svegli tutto il paese?».

P.: «Facciamolo qualche volta, Zammara! Svegliamo tutti!». Z.: «Sei forse pazza, Polimena?».

P.: «Ma sì, Zammara, sono pazza, pazza, pazza! Riesco a essere pazza di felicità soltanto quando sono con te, che sei la mia seconda mamma».

Z.: «Tu lo sai che tutti mi chiamano mavara, cioè strega?».

P.: «Ma se tutti ti vogliono bene? Se tutti vengono a chiederti continuamente responsi di ogni genere e come ne tengono conto! Quando mi sposerò? Come sarà il raccolto quest’anno? Mi conviene comprare il mulo di Mastro Cantricò, che è a buon prezzo ma dicono malato?».

Z.: «Lo so che mi vogliono bene, perché qui a Malva c’è la magia rossa dell’amore e della vita che, per breve che sia, si vuol godere fino all’ultimo istante. Così non ci sono vecchi o anziani, ma ostinatamente giovani».

  1. (girandole intorno): «Zammara è una mavara! Zammara è una mavara! La mamma è una mavara! La mamma è una mavara!».

Z.: «Oh, smettila, Polimena, non fare la bambina!».

 

P.: «Ma io sono una bambina!».

Z.: «Una bambina di ventitre anni?».

P.: «Mammina, io mi sento una bambina, che posso farci? E poi sono felice qui e ora, sotto la luna, con te, libera da tutte le noiose occupazioni del giorno, che ci porta solo stracci da lavare, pentole da far bollire, le scope per… Le scope per volare?».

Z.: «Ma no, la mia bambina che crede a queste fantasticherie, che le scope posson farci viaggiare velocemente da Palermo a Messina o a Catania… E invece, Polimena, posson farci soltanto cadere per terra se il manico si spezza all’improvviso, come mi è capitato una volta… Un capitombolo che quasi mi rompevo il naso, una buona occasione per farmi il naso aquilino da strega!».

P.: «Io devo parlarti, Zammara. Tutti insistono che devo cercarmi un marito. Ma io mi sento troppo bambina.E poi ci sono quegli attacchi,quando mi sento così strana,come posseduta da non so che e so di non essere me stessa, di fare e dire cose che non voglio,di comportarmi come una pazza che poi non ricorda nulla di ciò che ha fatto.Come posso avere un marito in queste condizioni?”

Z.: «Devi aver fiducia nell’esorcismo razionale che facciamo di notte con don Nicola e gli altri nella Matrice».

P.: «Io li ringrazio il protomedico Intraleo, il cerusico Porzio e il sarto Filistella e naturalmente te e don Nicola per quanto fate nei miei confronti e tuttavia non ho l’impressione che si produca alcun risultato. I miei attacchi sono diventati più frequenti di prima, nonostante le numerose sedute che abbiamo fatto, e non so se valga la pena di continuare».

Z.: «Il tuo esorcismo è davvero speciale perché unisce la tradizione religiosa, la scienza medica, la medicina e la poesia, unita alla mia magia rossa, la magia della vita, che porta l’allegria e il beneficio, mai il maleficio. Non abbiamo notizia che qualcosa di simile sia stato fatto altre volte ed è per questo che forse qualcosa non funziona. L’esperienza è troppo nuova e certamente possiamo compiere degli sbagli, ma in essenza sento che la strada è quella giusta e che dobbiamo continuare. E tu comincia davvero a cercar marito».

P.: «Ma non sono gli uomini che devon cercare le mogli? Che dovrei fare?».

Z.: «Beh, quello che le donne han sempre fatto. Stendere la biancheria negli orari in cui gli uomini vanno nei campi o ne ritornano».

P.: «Non mi piace nessuno qui a Malva».

 

Una figura compare all’improvviso nel campo, don Nicola.

dN.: «Ehi, Zammara, Polimena… Sono don Nicola… Sono venuto a cercarvi… Ero sicuro di trovarvi qui, per le lumache nottambule. Ne avete trovate?».

Z.: «Non sarete venuto a cercarci per questo? Comunque non ne abbiamo trovate.

Finora abbiamo solo chiaccherato».

dN.: «Devo dirvi una cosa che non sapete. Domani arriverà in paese il nuovo Duca di Malva. Di lui sappiamo che ha avuto in feudo il paese e tutto il suo territorio fino al mare come premio per aver difeso gli interessi del re di Spagna in Perù, servendosi di un tale diacono Eusebio, che è demonista spietato e ambizioso, che lui usa come ecclesiastico inquisitore e testa d’ariete contro i nemici».

Z.: «Abbiamo da temere qualcosa?».

dN.: «Non conosco i suoi piani, ma non c’è dubbio che cercherà di assoggettare Malva a un regime coloniale, distruggendo le nostre antiche libertà e i diritti comunitari di cui abbiamo goduto da sempre».

Z.: «Perché avete corso il rischio d’esser visto venendocelo a dire nel campo della Spinosa?».

dN.: «A nessuno degli abitanti di Malva importa che di notte raccogliate le erbe lunatiche o le lumache nottambule, e nessuno mostra d’interessarsi alle nostre riunioni notturne nella Matrice per guarirti, Polimena. Ma se al diacono Eusebio facesse comodo trovare delle streghe a Malva, voi sareste le prime della sua lista. Senza dubbio cercherà di scoperchiare i nostri segreti e fare in modo che tutti gli odi, i rancori, i dispetti, le stupide rivalità che si sono accumulati da quando fu posta la prima pietra vengano a galla tutte in una volta, sì che ognuno diventi il Caino del proprio fratello».

Z.: «Credete davvero che possa succedere questo? Nella mia vita già lunga non ricordo nulla di simile a Malva tranne qualche baruffa da bettola».

dN.: «Oh, mie sante donne, il mondo è quel che è, dovreste saperlo. Cristo si è fatto uomo per purificarlo, ma forse l’impresa era troppo grande anche per lui, almeno da compiere in una sola volta, e così dovrà tornare per completarla, il giorno del Giudizio Universale. Ma noi apriamo la porta alla tempesta e aspettiamo che passi. Ricordate ciò che vi dico, ricordatelo nei momenti più difficili,che certo ve ne saranno: l’ora più buia è sempre quella prima dell’alba».

 

Scena III

 

 

Il diacono Eusebio bussa alla porta della canonica. Don Nicola gli apre: E.: «Buona giornata nel nome di Gesù Cristo, don Nicola».

dN.: «Buona giornata a voi che conoscete il mio nome, ma io non il vostro».

E.: «Mi presento, buon parroco. Io sono il diacono Eusebio, prefetto speciale itinerante del Sant’Uffizio per la conforme conoscenza del Verbo di Nostro Signore presso le popolazioni indie di recente cristianizzazione recente e plenipotenziario del Duca di Malva, a cui Sua Maestà il Re di Spagna ha affidato il vostro sito abitato e il territorio di pertinenza dai boschi al mare con legato perpetuo ereditario».

dN.: «Siete il primo ad avvisarcene, Vostra Eminenza. Siamo così dimenticati dalla storia che avremmo potuto ritrovarci di fronte al signor Duca e a voi stesso senza neppur saperlo e senza quindi potergli rendere i dovuti omaggi».

E.: «Queste vostre parole denotano grande consapevolezza del vostro ruolo di intermediario tra gli obblighi religiosi e quelli che si hanno verso l’autorità laica».

dN.: «Perdonate la mia ignoranza, le cui cause di certo vi risultano chiare, ma non sono aggiornato della vostra carica prelatizia di prefetto itinerante».

E.: «È stata introdotta diversi anni fa dal Sant’Uffizio,a conclusione del Concilio di Trento,nel 1563,quindi quasi cent’anni fa, per poter meglio seguire le vicende della cristianizzazione delle Indie occidentali, che sono rappresentate da spazi enormi, dove vigono ancora, di nascosto, usanze, superstizioni e demoni pagani. In quelle terre v’è altresì una costante carenza di personale ecclesiastico validamente preparato che eviti pericolose commistioni tra pensiero pagano e cristiano. È per questo che sono nati i prefetti itineranti per le Indie occidentali, col potere di valutare la preparazione dei sacerdoti,di condurre inchieste demonologiche e impiantare processi per stregoneria. È lì che ho conosciuto il Duca di Malva e che ho operato di concerto con lui per sradicare eresia e stregoneria locale. Negli ultimi anni tuttavia, a seguito di numerose inchieste compiute nelle zone rurali più distanti dalle principali aree urbane europee il Sant’Uffizio ha avuto modo di riconoscere una netta reviviscenza di usanze pagane, demoniache e stregonesche che sembravano sopite da secoli, spesso con la complicità, vuoi per ignoranza, vuoi per debolezza verso i parrocchiani, dei ministri della fede locali. Per questa ragione ha

 

istituito un corpo di prefetti itineranti a libera giurisdizione, senza vincoli continentali. Ed è per questo che ora sono qui».

E.: «Don Nicola, cosa mi dite della presenza del diavolo a Malva?».

dN.: «Non mi risulta che ve ne sia traccia in paese. Non ho mai sentito parlare di nulla di simile che ci riguardi».

E.: «Eppure mi consta, da relazioni fattemi pervenire dal Sant’Uffizio di Palermo, che qui, in Val Demone –il nome, ne converrete, è già per se stesso inquietante- e probabilmente anche qui, a Malva, il diavolo abbia i suoi adepti, i suoi ammiratori, le sue Messe Nere, i suoi negromanti e fattucchiere, con la compiacenza di un clero molto condiscendente, se non del tutto colluso con questa variegata folla di ammiratori dell’Anticristo. Voi dunque ribadite di non saper nulla?».

dN.: «Mi risulta che gli abitanti di Malva sono cattolici, devotissimi a Gesù,a Maria e alla Santa Madre Chiesa. Altro non so dirvi».

E.: «Accolgo quanto mi dite come espressione della vostra sincerità, ma spero non ve ne avrete a male se compirò delle indagini in merito per conto del Sant’Uffizio e del Duca di Malva».

dN.: «Oh, naturalmente no, espletate ciò che il vostro ministero v’impone con assoluta serenità. Vi assicuro che farò del mio meglio per agevolare il vostro lavoro».

E.: «Ve ne ringrazio. Aggiungo che il signor Duca di Malva mi ha comandato di comunicarvi che domenica mattina vuole che tutti gli abitanti di Malva si presentino alla masseria ducale, per fare un importante discorso a loro beneficio. Fate che non manchi nessuno».

P.: «Sarà fatto».

 

 

 

Scena IV

 

 

Tutti gli abitanti di Malva si recano presso la masseria ducale. Il Duca è affacciato al balcone che domina il vastissimo recinto normalmente riservato alla custodia e al pascolo degli animali, affiancato dal diacono Eusebio. Tra la folla campeggiano Zammara e Polimena che improvvisano, avanzando, una danza primitiva a carattere augurale. Continuano anche quando sono sotto il balcone.

  1. E.: «Ma che fate voi due? Smettetela».
  2. (fermandosi): «È una danzetta augurale per i nuovi signori di Malva».

 

d.E.: «Smettetela lo stesso». Le due si fermano.

D.: «Popolo di Malva, io Antonio Delgado Curial,sono Duca di questa cittadina per volontà dell’Eccellentissimo Re di Spagna, che mi ha affidato questo territorio in feudo per i meriti che acquistai nelle Indie Occidentali, difendendo i legittimi interessi della Corona. Nel mio lungo soggiorno in Perù e per l’intensa attività che vi ho svolto, ho avuto modo di conoscere forme di organizzazione agraria radicalmente diverse da quelle europee e che permettono rese produttive di gran lunga superiori alla mezzadria, la quale vi fa credere di godere d’un minimo benessere, che in realtà scontate con la più cruda povertà. Io vi chiedo di rinunciare al vostro modo di vivere abituale, abbandonando le vostre miserrime abitazioni disperse in un vasto territorio soggetto alle razzie dei banditi. Occorre unificare le abitazioni in due o più grandi edifici che costruiremo nella spianata della masseria ducale. Qui uomini e donne vivranno separati per qualche anno, pur potendosi incontrare per qualche ora la sera, rinunciando ai rapporti carnali perché i bambini qui a Malva sono già presenti in buon numero e per il momento non sono augurabili ulteriori incrementi di popolazione…».

Z.: «Ma signor Duca, che tanto ci siamo rallegrate di voi ballando, il sopraesotto tra uomo e donna non si fa soltanto per fare i figli, si fa perché piace, sia all’uomo che alla femmina appassionata dell’amore!».

D.: «Non osate interrompermi più,screanzata,o vi farò imparare l’educazione a frustate!».

  1. (ridendo): «Scusate tanto, signor Duca».
  2. a Eusebio: «Chi è, la demente del villaggio?».

E.: «Sarà di certo una pazza incallita. La fortuna ci viene incontro. Ecco una strega vera».

D.: «Ogni mattina gli uomini andranno a lavorare tutti insieme nei campi assegnati sotto la guida dei capilavoro, che faranno in modo di esaltare al massimo le loro capacità produttive. Dovrete fare dei sacrifici, privarvi delle cosiddette libertà consuetudinarie, perdere il diritto di libera raccolta di frutta e legnatico, nonché rinunciare ai mulini privati. L’unico abilitato alla macinatura dei grani sarà quello della masseria ducale, che avrà una tariffa ben determinata. Per qualche anno il riposo domenicale sarà abolito e si lavorerà tutti i giorni dell’anno a eccezione dei giorni sacri di Natale e Pasqua, dall’alba al tramonto, in perfetta armonia. Un giorno sarete compensati con la piena proprietà privata delle terre che coltivate. Diverrete

 

liberi fornitori del Duca di Malva che a sua volta fornirà di derrate essenziali le grandi città del viceregno di Sicilia. Così Malva, da paesuccio appollaiato su un cocuzzolo diverrà una vera città, in connessione con un importante approdo marino che costruiremo nella parte di costa che ci appartiene. Naturalmente i maggiori benefici saranno goduti dalle generazioni future, dai vostri figli e nipoti, e neanche io di certo vivrò abbastanza da apprezzare in pieno i risultati di questo progetto, ma mi piace l’idea di cominciarne a vedere qualche frutto».

Z.: «Signor Duca, la vita è breve, è un lampo, un soffio e i frutti, dopo che maturano, impiegano un’ora per marcire. Perché privarci di questa bella vita che viviamo da sempre, con le sue nuvole e acquazzoni, quando ci sono, ma anche tanta aria fresca di libertà, di vita! Vivere costipati dentro grandi costruzioni con gli uomini separati dalle donne? Ma noi non ce lo sogniamo neppure, signor Duca!».

D.: «Voi continuate a insolentirmi con le vostre interruzioni, villana che non siete altro! Evidentemente reputate, e non a torto, che abbia riluttanza a far somministrare delle salutari frustate a una donna, sia pure laida come voi! Ma c’è un limite a tutto! Intanto, ditemi: ritenete di esprimere un pensiero comune?».

Z.: «Sì, signor Duca, sì, tutta Malva la pensa come me!».

D.: «E voi abitanti di Malva, ritenete che questa donna esprima veramente il vostro pensiero».

Un coro di sì e di “Viva Zammara”.

D.: «Ma non c’è proprio nessuno che provi interesse per il mio grande progetto?». Coll.: «Noi, signor Duca, noi! Noi vogliamo collaborare con voi!».

D.: «Chi siete voi?».

  • : «I poveri più poveri di Malva. Benché qui siam tutti poveri nessuno è più povero di noi, nessuno!».

D.: «Convenite che il mio progetto potrà condurvi dalla miseria estrema a condizioni meno dure e poi all’agiatezza?».

  • : «Ne conveniamo, signor Duca, potete considerarci dei vostri».

D.: «Vi rendete conto che per avviare questo grandioso progetto, che alla fine permetterà la vostra trasformazione da mezzadri a quelli che in Perù si chiamano fazenderos, cioè proprietari di terreno e bestiame, occorrerà tagliare i tre quarti dei boschi, che vi danno diritto al legnatico, ma toglie spazio alle coltivazioni e rende l’aria troppo umida per lo sviluppo di coltivazioni pregiate?».

  • : «Dei boschi non c’importa nulla! A noi interessa il pane!».

 

D.: «Com’è ben noto i boschi sono la dimora principale delle forze ostili a Nostro Signore, dagli spiriti maligni ai demoni. E io intendo che Malva abbia non una chiesa madre e neppure una cattedrale ma una basilica intitolata al fondatore della Chiesa di Nostro Signore, San Pietro in Val Demone e si faccia fama di paese cattolicissimo, dove nulla ricordi la pur incombente presenza del demonio nella nostra vita. A tal fine porremo subito in opera quanto detto».

Z.: «Noi che siamo di Malva e non questi accattoni senza terra che dicono di voler collaborare con voi e a cui forse abbiam commesso l’errore di dare un’ospitalità che non meritavano, tanti anni fa, quando furono cacciati dalle loro terre non so dove e qui trovarono asilo e qualcosa da mangiare, pur restando i più poveri, ma questa non fu colpa nostra, ebbene noi ci rifiutiamo a questa novità!».

D.: «La vostra bocca meriterebbe d’essere cucita con fil di ferro, vecchia laida che vi arrogate il diritto di parlare a nome dei più antichi abitanti di Malva! Potrei facilmente verificare se voi rappresentate effettivamente il parere di questi vostri compaesani o esprimete solo vostre convinzioni. Ma io credo che comunque una simile opposizione a un’idea così chiara e lineare, così positiva e concreta per un grande destino di questo territorio non possa che essere opera del diavolo, che può servirsi di una sola di voi o di molti, per ostacolare l’avvento di un’epoca di luce. Il nome di questa regione è Val Demone e questo deve pur significare qualcosa. E’chiaro che il diavolo considera il Val Demone come il suo ridotto contro il regno di Cristo ed è pronto a opporsi con ogni mezzo a qualsiasi cambiamento del presente, perché teme che ciò possa rapidamente costringerlo alla fuga. Da ciò è facile concludere che la stregoneria c’è qui in Val Demone e a Malva. Pertanto do’ al diacono Eusebio mandato di avviare un’indagine sulla presenza del demonio in paese e di creare un tribunale per la più severa punizione dei suoi adepti. Io stesso istituisco fin d’ora una distinzione tra collaboranti volontari, che premierò in tutti i modi possibili, e gli obbligati, che dovranno partecipare d’imperio all’impresa ma senza i benefici che diversamente gliene deriverebbero. I primi potranno rivolgersi a me in ogni circostanza, certi che non lesinerò loro il mio aiuto e potranno contare su miei sostanziosi doni speciali, frutto di collette garantite dalla mia persona in occasione di nascite e matrimoni. Chi vuole appartenere a questo gruppo si sposti verso il muro di cinta».

 

Un piccolo nucleo di collaboratori si sposta verso le querce. Il Duca dice al diacono Eusebio di cercare il parroco, a cui ordina di nominare ad alta voce le famiglie presenti:

«Ascanio, Travaglieri, Trivoliti, Ascone, Marca…».

E il Duca: «Bene, avete fatto la scelta della fede. Aiutatemi a estirpare il demonio da Malva».

 

 

 

Scena V

 

 

Il diacono Eusebio ha convocato don Nicola a colloquio privato nella canonica della Matrice.

d.N.: «Son qui, davanti a voi, con tutta l’umiltà che il mio ministero prescrive nel presentarsi a prelati di grado superiore”.

E.: «Sapete bene quale immensa responsabilità vi compete. Se il pastore delle greggi agisce per il bene comune nel nome dell’amore di Cristo, quantunque possa andare incontro al martirio, sarà sempre un santo da imitare, una luce per l’intera comunità, ma se fallisce nel suo ministero, se inganna se stesso e i suoi diocesani, se tenta senza successo d’ingannare Dio e la Santa Madre che l’ha generato e Gesù Cristo, che si è fatto uomo ed è morto per la sua redenzione, allora va considerato Satana in persona… Come il frate francescano Diego La Matina, due anni fa, ricordate?».

d.N.: «Qui siamo troppo fuori dal mondo per conoscere quello che accade altrove… Ma se non sbaglio accadde a Palermo ».

E.: «Ricordate bene, don Nicola, accadde proprio a Palermo ,due anni fa… Fu terribile, certo, ma anche un’apoteosi di penitenza e redenzione».

d.N.: «Avrei interesse che me ne parlaste».

E.: «Perché no? Fra’ Diego La Matina per alcuni era un sant’uomo per altri uno di quei tanti ecclesiastici ambigui, devoti tanto a Dio Onnipotente quanto al demonio. Alla fine prevalsero le opinioni in questo secondo senso, anche perché il frate, che sembrava aderire troppo al dettato di San Francesco, provocava forti risentimenti perfino nei suoi confratelli. Quando fu convocato all’autodafè egli sapeva per certo che sarebbe stato condannato al rogo e volle fare quanto di meglio potesse per rendere memorabile l’evento. Indossato il sambenito giallo e la tiara dello stesso colore, entrambi decorati con demoni, sembrava proprio un papa diabolico. Al vespro, quando si mosse dal palazzo della Santa Inquisizione, si dipinse sul viso una

 

magnifica espressione di dolore e pentimento, quale nessun attore avrebbe mai potuto assumere. Sapeva che per assistere al rogo eran giunti penitenti da tutta la Sicilia e molti avevano comprato posti in piedi in cambio di indulgenze speciali, sotto il tablado, dove su poltrone e sgabelli dorati con cuscini di velluto rosso sedevano i maggiori titolati della nostra isola e il vicerè, con tutti i loro servi recanti gonfaloni gentilizi. Quando all’Ave Maria giunse sul posto, il Consultore del Sant’Uffizio lo degradò pubblicamente. Sapete? Fra’ Diego era stato appena condannato al rogo quando il Consultore si avvicinò e su suo cenno si vestì come per la celebrazione della Messa e prese in mano il Vangelo.Ma quello subito glielo tolse dicendo “Amovemus te potestatem legendi Evangelium in Ecclesia Dei”, cioè “Ti priviamo della potestà di leggere il Vangelo nella Chiesa di Dio”. Poi gli tolse la stola, segno della facoltà di confessare, e disse “Stolam te candida amovemus”, “Rimuoviamo la stola candida”. Quindi gli diede il libro degli esorcismi e glielo tolse. Gli mise in mano le chiavi e subito le riprese. Degradato salì sulla pira di legno, il rogo venne acceso e la sua espiazione brillò come la più fulgida stella notturna agli occhi di Dio, magnifico spettacolo di purificazione. La confidenza avuta privatamente da molti presenti col demonio bruciò con lui,che divenne ammonimento e speranza di redenzione per tutti».

Don Nicola china la testa.

E.: « Pensate di potermi aiutare nella caccia contro il diavolo e soprattutto ad accusare la più sicura strega che esista, Zammara?».

d.N.: «Chi accusa le streghe non ne ha paura». E.: «Cosa volete dire?».

d.N.: «Può essere che l’inquisitore non creda che si tratti davvero di una strega».

E.: «Caro parroco, io sono certo che Zammara sia davvero una strega, ma stimo la forza dell’Onnipotente infinitamente superiore ai suoi poteri e pertanto intendo combatterla. Sono certo che siete d’accordo che negare la perenne battaglia tra Dio e Satana, come pure la realtà della stregoneria sia la peggiore delle eresie».

D.N.: «Senza dubbio è così. Ho sempre creduto nella realtà del demonio e della stregoneria. So che esistono e sono potentissimi e mi offro a voi per combatterli secondo le mie capacità».

E.: «Adesso, se permettete, don Nicola, vorrei discutere con voi su alcune questioni teologali riguardanti la figura del demonio».

d.N.: «Sono pronto a rispondere alle vostre domande».

 

E.: «Come ben m’insegnate, Lucifero, che fu l’angelo prediletto da Dio, ne condivide alcune qualità: ad es. l’onnipresenza. V’è secondo voi un luogo al mondo abitato o inabitato dall’uomo in cui Dio e il demonio non siano presenti a fronteggiarsi per tutta la durata del tempo?».

d.N.: «Un posto del genere chiaramente non esiste. Essi si combattono ovunque, nelle città come nelle terre desertiche».

E.: «Avete risposto correttamente. Secondo voi Satana è potente come Dio?».

P.: «Dio è per definizione onnipotente, perché l’onnipotenza è una perfezione e a Dio pertengono tutte le perfezioni».

E.: «E il diavolo, allora? Se sapesse di dover essere sconfitto sempre, a che gli varrebbe competere con Dio?».

d.N.: «Nella sua onnipotenza Dio ha voluto che il diavolo potesse coltivare la speranza d’averla vinta su di lui, lasciandolo vincere spesso, in modo da non scoraggiare la competizione. In effetti il diavolo vince solo quando Dio glielo consente. Ma anche questo è necessario, perché è il diavolo che mette alla prova gli esseri umani, consentendo a Dio di discernere quale dei suoi figli sia meritevole della gioia eterna e quale, per la sua indole malvagia, allontanare da sé per sempre».

E.: «Secondo voi, don Nicola, il diavolo vuole deliberatamente il male? Vuole che il male s’instauri nel mondo scacciandone il bene o che altro?».

d.N.: «Satana è l’avversario di Dio e pertanto usa qualsiasi mezzo per contrastarne l’egemonia nel mondo. Quindi si serve del male per contrastare Dio. Ma non è il male in sé il suo fine, bensì la cattura delle anime attraverso le lusinghe del male. Con ciò dico che l’oscillazione pendolare tra il bene e il male è insita nell’uomo e che Satana attira le anime verso di sé lusingandole con il libero esercizio del male a cui esse aspirano. Dunque non il male è il fine di Satana, ma il possesso delle anime».

E.: «Mi sembra una chiara riabilitazione di Satana, che consiste nell’accreditargli il male solo in forma subordinata al vero fine, che è quello d’attirare a sé le anime, che è, sì, lo stesso di Dio. Secondo questa vostra concezione Dio e il diavolo sarebbero motivati dagli stessi fini, distinguendosi solo per la fattispecie delle lusinghe, che sono quella di agire secondo bontà ovvero malvagità».

d.N.: «Lusinghe assai forti sull’animo umano, che è tentato da entrambe, la bontà e la malvagità. Ciò salverebbe in pieno il libero arbitrio».

 

E.: «Ma qui abbiamo una doppia contraddizione: un Satana non cattivo, ma solo abile mercante, e l’uomo invece, così cattivo in nuce, da risultare non la prima creatura di Dio, ma l’ultima, in quanto l’unica di cui si possa dire con certezza che le sue cattive azioni non sono dettate dall’istinto o dalla necessità ma dalla volontà di procurarsi piacere facendo del male. Può Dio aver creato un essere che ambisca al male di per sé e non per l’inganno costante di chi il male lo vuole deliberatamente?».

d.N.: «Vi ho solo espresso delle mie libere opinioni, monsignore».

E.: «Sono alquanto singolari, don Nicola, molto discoste dal pensiero ufficiale della Chiesa, ma non nego che esse meritino di venir discusse presso una scuola di Teologia.. Riprenderemo l’argomento a suo tempo».

Don Nicola si congeda rispettosamente e si allontana.

 

 

 

Scena VI

 

 

La stanza più grande della masseria ducale è stata trasformata in un’aula tribunalizia, dove il diacono Eusebio, davanti al duca, ai suoi sgherri e a un folto pubblico di curiosi, tiene la sua relazione:

E.: «Su meritevole segnalazione della famiglia di collaboranti volontari Travaglieri si è individuata nella non meglio conosciuta Zammara un’adepta del demonio. Costoro l’han vista più volte aggirarsi nottetempo, ma sempre con la presenza della luna, nel campo detto La Spinosa, talora cantando litanie in lingua sconosciuta, talaltra pronunciando frasi sconnesse, sempre incomprensibili, spesso in compagnia della giovane Polimena, che sarà inquisita più avanti. Portatemela qui».

Zammara viene trascinata nell’aula.

E.: «Cominciamo dal nome. Come vi chiamate?». Z.: «Io non mi chiamo mai, mi chiamano gli altri».

E.: «Avrete la vostra dose di frustate per questa insolenza. Comunque, come vi chiamano gli altri?».

Z.: «Zammara, mi chiamano, Zammara! Se già lo sapete perché insistete nel chiedermelo?».

E.: «E cosa vuol dire Zammara? Da dove viene questo nome?».

 

Z.: «Da dove viene non lo so, per me può venire da qualsiasi parte, il fatto è che ce l’ho avuto addosso da sempre!».

E.: «Insolenza su insolenza. E allora lo dico io cosa vuol dire. Zammara non significa “zia Maria” come molti credono ma è il nome di una pianta spinosa di origine africana, che qui non cresce, ma sì in Val di Noto. Secondo molti è la pianta diabolica per eccellenza del Mediterraneo. Ognuna delle sue lunghe foglie recanti in cima spine appuntite come un pugnali è sede di demoni e quindi un’intera pianta di zammara equivale a un’armata diabolica».

D.: «Ci sono qui nella sala persone in grado di dirci qualcosa di concreto riguardo a Zammara? Chi può confermare che si tratti davvero di una strega?».

I coll. vol.: «Altro che una strega! È una vera strega! Io che sono un suo confinante l’ho vista incantare vipere velenosissime che ucciderebbero un bue, l’ho vista che se le portava a casa, dove di sicuro le lasciava libere e al mattino le portava tutte nell’aia e le nutriva di sangue di gallina come una madre nutre i suoi piccoli. Poi le faceva camminare, giocare e le chiamava anche per nome».

II: «Io sono sua moglie e vi assicuro che una volta che guardavo da lontano la casa di Zammara ne vidi uscire un grossissimo serpente, nero, lungo come almeno venti vipere in fila, che allontanò nel cortile. Allora lo rincorse, lo abbracciò come un figlio e gli disse: “Dove fuggi, amore mio? Ritorna dalla tua mamma!».

III: «Lo volete sapere chi era Zammara trent’anni fa? Era un’estranea, una donna di fora, che veniva dalla punta della Sicilia per fare la maga. Si vede che l’avevano cacciata fuori da dove stava. Arrivata qui si trovò una vecchia stalla dove abitare, la ripulì, ci mise un giaciglio e se da allora a Malva, come si dice, c’è il diavolo, è colpa sua».

IV: «Lei fabbrica amuleti, anelli incantati, talismani, fa’ nodi magici e strega le carte».

V: «Fa’sortilegi e malefici, fatture per trovare o ritrovare l’amore e altre per far star male i nemici e anche farli morire».

VI: «Spesso la sentiamo pregare a denti stretti, che le parole non si capiscono e sono sicuramente preghiere a Satana».

VII: «Altro che strega! Zammara è una grande strega, perché sa fare tutto quello che fanno le streghe più esperte. Per esempio pratica la divinazione. Tra l’altro parla con gli uccelli, che le rispondono a tu per tu, e ne legge le interiora».

VIII: «Io so che parla con una caraffa d’acqua».

 

IX: «È capace di stregare le vacche, di farle ammalare e morire, gettando sul lastrico intere famiglie».

X: «Distrugge i raccolti, facendo piovere al tempo sbagliato o anche provocando turbini e tempeste».

XI: «Indovinate quale albero ha al centro dell’aia? Ma il noce, naturalmente, l’albero dei maghi e delle streghe!».

XII: «E se date un’occhiata al suo orto, sapete che ci trovate? Una raccolta completa di erbe magiche: l’iperico, la verbena, l’artemisia, la valeriana e la mandragola. Quindi malva a volontà. Solo le erbe nottambule non vi crescono, ma lei sa dove andarle a trovare, nel campo di Spinosa».

XIII: «E fa pure magie con la calamita: attira spilli, chiodi, monete. E sa parlare lingue che nessuno conosce. Infigge spilli nei pupazzi».

Coro: «Spogliatela nuda per quanto vi disgusti il corpo di una vecchia. Da qualche parte troverete il marchio di Satana, il punto che non duole. Pungetela con spilli, punte varie infuocate, vedrete che non urlerà».

[Azioni speculari simulate]

E.: «Le testimonianze mi sembrano chiare. Poiché siete una strega dovete essere confidenza col demonio».

Z.: «Poiché sono una strega, io, Zammara, rispetto il demonio come rispetto Gesù Cristo Nostro Signore e Dio Onnipotente».

E.: «Siete una povera demente, una strega!».

Z.: «Se io che sono una strega tratto il demonio con rispetto lui, lui, dico, non mi farà del male, anzi verrà a coricarsi nel mio letto…».

E.: «Oh, orrore! Orrore e sdegno!».

Z.: «E con quanta passione usa di me, signor diacono!».

  1. consulta il Malleus Maleficarum. Quindi chiede: «Com’è il suo seme?».

Z.: «Freddo come il ghiaccio. Questo mi dispiace, ma è così con tutte le streghe come me. Tuttavia con lui divento donna, una donna giovane da cui Lui trae tanto piacere. E a me piace il suo viso di Gesù».

E.: «Che avete detto?».

Z.: «Lui non ha il viso del diavolo come lo rappresentate voi chierici, cioè la barba e le corna, ma il volto di Gesù Cristo Nostro Signore».

E.: «Non vi rendete neppur conto di quanto siano blasfeme le vostre parole! Oh, dirsi fedeli a Dio e a Cristo ma anche al diavolo e poi giacere con questi che reca per

 

supremo oltraggio, il viso incorrotto di Cristo è la massima bestemmia che si possa rivolgere all’Onnipotente! Una bestiale eresia!».

Z.: «Io neanche lo so cos’è un’eresia! Che cos’è un’eresia, signor diacono?».

E.: «Accettare di buon grado che il diavolo abbia confidenza con noi piuttosto che rifiutarlo con tutte le nostre forze, anche a costo di andare incontro al martirio, questa è eresia!».

Z.: «Ma se il parroco non fa che ripetere che il diavolo non solo esiste, ma è anche molto potente, come posso io, che sono solo una povera donna malata, rifiutare quanto mi chiede Lui, il diavolo?».

E.: «Vi ho appena parlato di martirio. Il prezzo può essere la vita, se necessario, ma l’anima si salverà. Ma voi non siete neppure capace di riflettere sulla sacralità del rifiuto. Per voi non c’è altra possibilità che il rogo!».

  1. (ridendo come una pazza): «Ma quale rogo e rogo! Io ve lo spengo con una gran pisciatona che sarà come la piena di un fiume in autunno».

E il Duca, ridendo con crudeltà: «Questo vuol dire che fino al giorno dell’esecuzione non vi faremo più bere acqua!».

Z.: «Io che sono una strega l’acqua conto di averla lo stesso da Gesù Cristo e dal diavolo che in uno sono miei amanti! Ma se acqua non avrò il rogo lo stesso spegnerò… con una gran scorreggia meraviglia dell’umano intestino!».

E.: «Volete forse indirizzare il nostro giudizio verso la forca?».

Z.: «E c’è una corda che ce la fa a tenermi impiccata, pesante come sono? o una liana che ce la faccia a tagliarmi la pelle di zammara africana? O una mannaia che non si spezzi al mio collo di ferro? Sentite questa!

 

Danza del Sabba

 

 

Io al Sabba ci vo’ con la ramazza dev’esser nuova, sennò può cadere ed è così che Zammara s’ammazza! Io vado al Sabba delle fattucchiere per aggiornarmi sulle magie nere

e quante anime vedo in quelle fiere! Io vado al Sabba a cercar le sorelle dimenticando questo paese lercio

 

ci conosciamo a fiuto o a pelle

e col demonio facciamo commercio!».

 

 

E.: «Visto che è così vediamo come reagite all’interrogatorio di una persona che vi è cara, forse il solo punto debole della vostra corazza di imputato sprezzante del giudizio della Corte. Fate entrare Polimena».

Z.: «Polimena, a cui ho sempre fatto da madre!».

E.: «Come dicevo, il vostro punto debole. Entri Polimena».

 

 

 

Scena VII

 

 

  1. (rivolgendosi alla ragazza): «Siete stata vista da Trecarichi mentre passeggiavate in campagna di notte con Zammara. Trecarichi, confermate questo?».

Trecc.: «Sì, senza dubbio. Sembrava cercassero delle erbe notturne». E.: «E che avete visto poi?».

Trecc.: «Ho sentito don Nicola che le chiamava e che parlava con loro, ma non ho sentito cosa si dicevano».

E.: «Polimena, corrisponde a verità quanto affermato da questo collaborante volontario?».

Pol.: «È vero. Con Zammara raccoglievo erbe nottambule e poi si è avvicinato don Nicola per salutarci visto che si trovava anche lui nel campo di Spinosa a cercare erbe anche lui».

E.: «Una strana coincidenza».

Pol.: «Succede d’incontrare tanta gente anche di notte alla Spinosa, tutti che cercano erbe notturne o lumache».

Collaborante: «O vermi, uccelli addormentati e serpenti magici!». E.: «Polimena, voi sapete che Zammara è una strega, vero?».

Pol.: «Una strega? Io non so neppure cos’è una strega!».

E.: «Come chiamate voi una persona che ha confidenza col diavolo e agisce a distanza con la volontà per fini malvagi senza compiere alcun intervento diretto sulle cose?».

Pol.: «Una mavara. Solo le mavare possono compiere questo genere di cose».

E.: «E va bene, è una mavara. Però mavara in qualsiasi parte del mondo si chiama strega».

 

Pol.: «Non vedo cosa ci sia di male a essere mavara o strega, come dite voi. Di Zammara posso testimoniare la sua bontà. Dopo che morì mia madre mi fece sempre da mamma, dolcissima, buona, piena di premure».

E.: «Certo, voleva allevare una strega come lei e si garantiva il vostro affetto e l’apprendimento dell’arte mostrandovi un affetto interessato. Comunque già queste poche parole mi hanno dimostrato la pochezza del vostro intelletto e ciò mi mette a disagio perché pensavo di dover conferire con una giovane donna e non con una piccola bambina, con un corpo da maggiorenne sviluppata. Ciò richiede da parte mia un’accurata riflessione sul modo di continuare a interrogarvi. Per ora andate pure dalla vostra matrigna nella sala minore. A suo tempo sarete chiamate per il nuovo interrogatorio».

Polimena si ritira nella sala minore, dove già si trova Zammara.

 

 

 

Scena VIII

 

 

Z.: «Oh, Polimena carissima, che ti hanno fatto dire? ».

P.: «Bella Zammara, niente mi hanno fatto dire e niente ho detto se non quello che già sapevano: che di notte ogni tanto andiamo alla Spinosa a raccogliere erbe notturne e che li può capitare che si trovi già o sopravvenga gente come noi,come quella volta don Nicola».

Z.: «Cercano streghe, streghe da bruciare in pubblico per impressionare la gente, in modo da gettare tutta la popolazione nel terrore di poter essere accusata da chiunque di pratiche col demonio e così sottometterla alla loro volontà. Ma io di loro me ne fotto e strafotto, che la vita ormai mi è di peso, perché sono vecchia e contro il tempo non c’è magia che tenga. Ma tu, piccola, tu fa’ di salvarti. Rinuncia alla tua innocenza, fallo ora che ti è necessario per sopravvivere ai disegni di questi scellerati, tanto l’innocenza la perderai comunque in malo modo al più presto. Se vogliono che tu testimoni che sono una strega, che compio azioni malvage evocando gli spiriti dell’inferno, che abuso della tua creduloneria, assecondali sempre e salvati perché sei così giovane, mentre io, ormai vecchia, non ambisco che a morire, ma non di mia volontà, che lo considero contro natura, ma assecondando qualunque pericolo estremo si avvicini alla mia persona».

 

P.: «Oh, Zammara, tu mi hai fatto da mamma e mi hai fatto conoscere il piacere delle cose più minute della vita… Le nostre passeggiate serali alla Spinosa, profumate di zagara e di erbe nottambule, accompagnate dalla Luna, dolce amica di entrambe. Cosa avrei potuto avere in dono di più bello? E ora mi dici che vivere ti pesa e non sei disposta a batterti per continuarla, tu che sei la donna più innocente della Terra, oh Zammara! Questo io non te lo permetto e anzi ho un’idea. Tu dici che sono o che sembro innocente. Gli innocenti dicono sempre la verità e quindi li si può ritenere fonti attendibili di prova. Nonostante la mia ingenuità so che difficilmente ciò che vien detto e ripetuto da un’innocente viene trascurato, anzi, l’innocenza stessa viene utilizzata ovunque faccia comodo, finchè tutto ciò assicuri vantaggi, con ciò legittimandola sempre più. Lasciami fare, Zammara. Io ti salverò dal rogo dove senza dubbio il diacono Eusebio e il Duca di Malva vogliono farti salire, probabilmente insieme a don Nicola e altri cittadini di Malva, e forse per ultima anch’io. Tu dici di essere vecchia, mia Zammara, ma non sei vecchia, sei giovane sempre, perché tu puoi ancora godere come me di una notte di luna e di stelle. Allora lasciami fare.Non so ancora in che modo,ma riassicuro che appena ne avrò l’occasione,ho in testa di trasformare la testimonianza di un’innocente che spiattella i segreti di tutti, in una tremenda vipera, che colpisce chi ne ha tanta confidenza da starle accanto senza precauzioni. Lasciami fare, abbi fiducia e non prendere sul serio nessuna delle parole che dirò da ora in poi».

 

 

 

Scena IX

 

 

Secondo interrogatorio di Polimena. E.: «Fate rientrare la giovane».

Polimena viene riaccompagnata davanti al diacono Eusebio e al Duca di Malva.

E.: «Sembrate una brava ragazza, una ragazza sincera, anche se incorsa in un perfido destino, aver avuto una madre adottiva che è una strega. È una strega, dunque, Polimena? Avete ormai capito il significato di questa parola, no?».

Pol.: «E va bene, la mia madre adottiva è una strega. Sì. Fa cose strane. Parla con gli oggetti. Ma non fa male a nessuno, è una strega buona».

 

E.: «Avete mai avvertito in casa la presenza del diavolo? Di notte ad esempio, quando la vostra matrigna diceva di unirsi con il diavolo, vi è capitato di sentire qualcosa di strano, di insolito?».

Pol.: «Di solito dormivo di sonno profondo, ma una volta mi è sembrato di sentire che mia madre Zammara dicesse, ma non so in verità se l’ho soltanto sognato , “Vostra Maestà ha pieno potere su di me” e poi rumori secchi di mobilio messo alla prova da movimenti umani».

E.: «Dunque ritenete attendibile che la vostra matrigna avesse rapporti col demonio?».

Pol.: «Oh, senz’altro! D’altra parte è una donna e ha pur bisogno di sfogarsi con qualcuno!».

E.: «Oh, senti questa, l’innocentina, che linguaggio! Povera bambina! Vi chiamo così, bambina, nonostante abbiate ventitrè anni, perché la vita a volte è ingenerosa e non ha voluto che maturaste nell’intelletto e nel cuore quanto la vostra età richiede. Siete soggetta a essere ingannata da chiunque. Innanzitutto da chi vi si è presentata con un’affettuosa aria materna, come l’imputata di stregoneria Zammara, con l’intento di prendere il posto di vostra madre meretrice che pur amavate tanto e le cui fattezze vi parve di ravvedere nella figura di Zammara, che aveva bisogno di una figlia- aiutante per avvelenare lentamente le sorgenti di Malva con estratti di erbe nottambule, come ci hanno riferito molti collaboranti volontari, che l’hanno vista chinarsi sulla sorgente e rilasciarvi le sue infusioni malvage. Quest’avvelenamento verosimilmente non produce la morte, ma la pazzia o una forte predisposizione alle pratiche sataniche, naturalmente su ordine del diavolo, con la vostra involontaria complicità».

Polimena scoppia in pianto.

E.: «Potrete salvarvi dal rogo che attende anche voi rendendo dettagliata confessione delle atrocità commesse da Zammara e da eventuali suoi complici».

Polimena piange disperatamente.

E.: «Per rispetto alla fondamentale integrità morale dell’imputata propongo al signor Duca di proseguire l’interrogatorio nella sala minore».

D.: «Accordato».

E.: «Scherani, fate uscire la strega di lì e portatela in un altro locale ben sorvegliato!».

 

 

Scena X

Il Duca di Malva,il diacono Eusebio e Polimena nella sala minore.

E.: «Vogliamo sapere tutto ciò che è accaduto durante il vostro sodalizio con Zammara.

Ha mai tentato di abusare di voi? Vi ha mai toccata con intento impuro?».

P.: «Non l’ha mai fatto, neppure quando mi trovo mezza stordita davanti a lei nel corso dell’esorcismo».

E.: «Che esorcismo?».

P.: «L’esorcismo, così lo chiamano lei e gli altri della fraternità». E.: «Cos’è questa fraternità?».

P.: «Sono un gruppo di uomini più Zammara che esercitano su di me una cosa che chiamano esorcismo».

E.: «E quale sarebbe lo scopo di questo esorcismo?».

P.: «Da anni dico a Zammara che ho delle strane visioni, che di notte mi tormentano. A volte, inoltre, soprattutto nei periodi di plenilunio, mi capita di alzarmi e camminare in stato d’incoscienza, come dormendo, con le braccia distese in avanti e i palmi delle mani aperti».

E.: «Non c’è dubbio che in tutto ciò vi sia del demoniaco. Chi esercita l’esorcismo e dove? Chi compone la fraternità?».

P.: «Ve lo dico, a condizione che non facciate del male ai miei benefattori». E.: «Benefattori? O abusatori?».

P.: «Benefattori, senza dubbio».

E.: «E allora? Chi sarebbero questi benefattori?».

P.: «La mia seconda mamma Zammara, il parroco don Nicola…».

  1. (sobbalzando): «Don Nicola! Don Nicola!». P.: «Sì, il caro don Nicola».

E.: «E poi chi ancora?».

P.: «Il cerusico Porzio, il protomedico Intraleo, il sarto poeta Filistella».

E.: «Tutti personaggi di primo piano qui a Malva, il fiore della sua intelligenza. E dove si svolgerebbe questo esorcismo?».

P.: «Se promettete di non fare del male alla fraternità vi dirò anche il luogo». E.: «Avanti, ve lo prometto».

 

Pol.: «Vi sembrerà strano, ma si tratta proprio della Chiesa Madre».

E.: «La Chiesa Madre intitolata a Santa Luneide! C’era da aspettarselo! E in quali orari?».

Pol.: «A mezzanotte, ogni quindicina di mese». E.: «Descrivetemi l’esorcismo».

Pol.: «Ogni volta mi accompagna Zammara e già trovo ad aspettarmi i quattro confrati, che mi salutano come me loro figlia e mi fanno bere una bevanda che non saprei descrivere, buona, però, che loro chiamano “liberatrice”. Allora comincio a sentirmi un po’ stordita e mi fanno stendere a terra su alcune coperte stese l’una sull’altra».

E.: «Siete nuda o vestita?».

Pol.: «Vestita, naturalmente, sempre».

E.: «Siete sicura che non vi abbiamo toccata?». Pol.: «Ne sono certa, naturalmente».

E.: «Ma allora cosa fanno?».

Pol.: «Don Nicola inizia recitando il Pater Noster e un’invocazione a San Giorgio, che scacci il demonio dal mio cuore. Poi Zammara invoca Santa Luneide, ma la chiama solo così, Luneide: “O Luneide, Luneide, occupati della mia figliola, che nel sonno pronuncia parola e ad occhi chiusi cammina da sola”».

E.: «E poi?».

Pol.: «Il cerusico Porzio, il medico Intraleo e il sarto-porta Filistella mi fanno delle domande».

E.: «Voi avrete già bevuto un bel bicchiere di bevanda liberatrice, no?». Pol.: «Sì, la bevo subito dopo l’invocazione di Zammara».

E.: «E cosa vi chiedono?».

Pol.: «Prima di tutto mi chiedono dei miei sogni… che sogni faccio… quali sono i miei incubi…».

E.: «E che sogni fate?».

Pol.: «Sogni bellissimi a volte. Ad es.a volte nel sonno vedo Gesù Cristo con una lunga tunica candida che mi attende a braccia aperte mentre corro verso di lui su un prato verdissimo pieno di papaveri ma poi, a volte la stessa notte sogno il diavolo che è lui a inseguirmi in una foresta buia, piena di serpenti che mi sfiorano, e lui si trova in stato… in stato… non so come dire…».

E.: «Chiamiamo le cose col loro nome: è in stato d’eccitazione».

 

Pol.: «Non è che m’intenda molto di ciò, ma è così, si trova in stato d’eccitazione, sicuramente, e mostra di volersi servire di me per il suo piacere… E m’insegue … A volte dei lampi illuminano lontano la figura di Gesù Cristo con la tunica bianca all’orizzonte e il diavolo sembra fermarsi…».

E.: «Continueremo un’altra volta. Ma intanto i confrati cosa facevano o dicevano?». Pol.: «Don Nicola recitava altre preghiere, Zammara nuove invocazioni alla Luna e alle

Stelle, mentre il cerusico, il protomedico e il sarto-poeta si consultavano tra loro dicendo cose che non capivo, tranne la parola “melancholia”, che ripetevano spesso, e anche l’espressione “melancholia onirica grave causata da conflitto morale interiore”,oppure,ora che mi viene in mente ‘’bisogno di uscire dalla carnalità repressa dell’età giovanile per conquistare quella femminile piena…’’ Ma non capivo cosa intendessero ».

E.: «E qualcuno si offrì mai di liberarvi da questa triste condizione?». Pol.: «No, mai, non accadde mai nulla ».

E.: «E allora?».

Pol.: «Si restava nel vago delle preghiere e delle invocazioni, mentre loro parlavano, parlavano, analizzando ogni mia parola e chiamando tutto ciò “esorcismo razionale”».

E.: «E nessun fatto, nessuna azione?». Pol.: «No, signor diacono, solo parole».

E.: «Va bene, per ora potete andare… Sia portato il parroco don Nicola».

 

 

 

Scena XI

 

 

E.: «Così, don Nicola, la verità si è svelata da sé. Praticate l’esorcismo senza averne l’autorizzazione del Sant’Uffizio e questa è già per se stessa un atto di apostasia. Inoltre ammettete a questa pratica santa, sebbene esercitata abusivamente, degli estranei, quali nientemeno una strega riconosciuta, due cosiddetti uomini di scienza, quali un cerusico e un protomedico, e uno addirittura che non si sa cosa sia, se un sarto o un versificante o che altro, nulla che abbia a che fare con un vero esorcismo. Siete responsabile di aver consentito delle baldorie demoniache di notte nella Matrice, di cui Polimena nega gli aspetti perversi, ma che ritengo esservi stati e ne

 

troverò le prove. Che dite voi, don Nicola? Che facevate da mezzanotte all’alba nella Matrice?».

d.N.: «Vostra Eccellenza, la ragazza soffriva e tuttora soffre di gravi disturbi…». E.: «Non è la prima!».

d.N.: «Sì, Vostra Eccellenza, ma è la prima a Malva a memoria d’uomo e francamente non sapevamo cosa fare».

E.: «Perché non avete avvisato il Sant’Uffizio di Palermo?».

d.N.: «I fenomeni diventavano sempre più gravi e frequenti e sapevamo che anche a Palermo gli esorcisti sono pochi rispetto al numero sempre crescente di richieste che provengono da ogni parte della Sicilia e avremmo dovuto attendere molto tempo. Intanto Polimena avrebbe potuto incorrere in gravi conseguenze per la sua salute fisica e mentale. Perciò mi sono fatto coraggio e richiamando alla mente tutto ciò che sapevo sugli esorcismi ho tentato di intraprendere questa via per la sua salvezza».

E.: «E la strega riconosciuta Zammara?».

d.N.: «Io non so nulla di Zammara come strega riconosciuta, non ho alcuna notizia di sue attività in contrasto con la santa religione. Io l’ho ammessa all’esorcismo perché era la persona più amata da Polimena e aveva su di lei una funzione calmante».

E.: «E il cerusico Porzio, il protomedico Intraleo e il sarto-poeta Filistella?».

d.N.: «Non ero affatto sicuro che il procedimento che avrei intrapreso sarebbe stato quello giusto. Così li ho pregati di partecipare per studiare il caso dal loro punto di vista in modo da aiutarmi a definire in modo più completo le cause e i rimedi della malattia di Polimena».

E.: «Il cerusico e il protomedico sarebbero uomini di scienza che ragionano secondo le loro conoscenze di chimica e di organica fisiologica, dove ci sono solo sostanze materiali e corpi fisici, oppure i famosi Quattro Umori che sarebbero, secondo loro, il contenuto dell’anima e dove non c’è posto né per lo spirito né per il diavolo, sebbene per lo stato di ordinaria salute o per l’alterazione dei rapporti eccellenti da cui nasce la malattia. Come può un uomo di Chiesa chiedere la loro collaborazione nella pratica esorcistica che è di assoluta ed esclusiva pertinenza della Chiesa? Questa collusione è un tradimento, un tradimento della Chiesa da parte di un suo parroco e può benissimo configurarsi come un atto di apostasia! Uscite per adesso, interrogherò gli altri».

 

Scena XII

Nella sala si trovano solo il Duca e il diacono.

E.: «Signor Duca, molti miei gravi presentimenti risultano confermati. Qui a Malva è accaduto qualcosa di molto grave. Il demonio ha posto piede in questo paese in modo drastico coinvolgendo innanzitutto, ciò che mi fa ribollire il sangue nelle vene, il parroco stesso, che doveva rappresentare il faro della fede e invece si è dato in signoria al demonio!».

Duca: «Tuttavia lui si giustifica parlando di “esorcismo razionale”, allargato a uomini che se non sono scienziati veri e propri hanno comunque a che fare con la scienza, come il cerusico e il protomedico. Del sarto poeta non so che dire. Evidentemente non ha a che fare con la scienza, ma pare che abbia la capacità di suscitare il ricordo dei sogni dimenticati. Se voi riferiste al Sant’Uffizio la faccenda come si presenta in atto, certamente molti a Palermo griderebbero all’eresia ma potrebbe anche esserci chi prenda interesse alla faccenda, trovandoci alcunché di suggestivo, e il caso verrebbe sicuramente avocato alla Procura Ecclesiastica. Le cose sicuramente si metterebbero per le lunghe e non è neppur detto che il cerusico e il protomedico e l’altro, il sarto, finiscano poi condannati.Probabilmente la farebbero franca anche la strega Zammara e il parroco, dando per scontata la non imputabilità di Polimena. Tuttavia, se ben ricordate, il nostro scopo non è creare le condizioni per un grande autodafé a Palermo con la partecipazione dei maggiorenti della città, ma dare una lezione agli abitanti di Malva, sbarazzandoci di questi “esorcisti”».

E.: «Probabilmente avete ragione. L’ “esorcismo razionale” complica notevolmente la cosa. Avete qualche idea al riguardo».

D.: «Sì, ed è molto semplice. Dobbiamo convincere Polimena a dichiarare che in realtà l’ “esorcismo razionale” non è altro che una ciarlataneria per giustificare atti libidinosi innominabili compiuti nei suoi confronti mentre era in stato d’incoscienza. Questo farà fremere di sdegno i cittadini, specie se i collaboranti volontari contribuiranno a scaldare un po’ l’atmosfera. La prima cosa dunque è parlare con Polimena. La vado a cercare e lo farò personalmente».

 

Scena XIII

 

 

Il Duca e Polimena.

D.: «Voi non volete parlare, Polimena, ma noi siamo certi che il vostro corpo è stato violato ripetutamente da uomini impuri mentre vi trovavate in stato d’incoscienza. Questi sciacalli hanno approfittato per tanto tempo della vostra innocenza. Ammettetelo finalmente».

Pol.: «Può una vera cristiana quale mi considero dichiarare il falso e permettere che degli innocenti vengano condannati solo per compiacere un potente…».

D.: «Ma andiamo! Approfittare fisicamente di una bella e sfortunata ragazza quale voi siete è un fatto comune, succede dovunque. Perché non dovrebbe essere successo a voi, qui a Malva?».

Pol.: «Non ne ho avuto nessuna evidenza. Nessuna traccia neppur minima sul mio corpo mi ha fatto pensare a questo».

D.: «Non sono cose che necessariamente si vedono. Si possono compiere le più turpi pratiche sul corpo di una donna senza lasciare alcuna traccia visibile. Dovete tener conto che con quella bevanda vi trovavate in uno stato d’incoscienza così grave che vi potevano fare qualsiasi cosa».

Pol.: «Come toccarmi, accarezzarmi, baciarmi?».

D.: «Molto ma molto peggio, e poi ordinarvi di dimenticare tutto». Pol.: «C’è una cosa che forse non sapete, signor Duca».

D.: «Parlate, vi ascolto».

P.: «La ragione principale dell’esorcismo, oltre gli incubi e il fatto che cammino nel sonno, sono le continue visioni di animali accanto alle persone».

D.: «Qui è meglio che facciamo venire il diacono Eusebio, che s’intende più di me di queste faccende».

Va a chiamare il diacono Eusebio, che entra dicendo:

«Dunque vedete figure d’animali accanto alle persone? A tutte?».

Pol.: «No, solo ad alcune». E.: «A chi?».

Pol.: «A Zammara a volte, a don Nicola e agli altri della fraternità».

 

E.: «Vi rendete conto di ciò che dite? Quelle figure di animali sono immagini del diavolo. Escono dal corpo di cui hanno preso possesso e si mostrano per soggezionare e creare nuovi adepti. Ne parla lungamente il libro che mi fa’ da guida nell’inquisire le streghe, il Malleus maleficarum, universalmente conosciuto ed elogiato. Ditemi che figure sono».

Pol.: «Serpenti, caproni, asini, maiali».

E.: «Perfetti ritratti del diavolo. E voi cosa provate quando le vedete?». Pol.: «Orrore! Orrore! Orrore! Vorrei esser morta piuttosto che vederle!».

E.: «Vi prometto che vi libereremo per sempre da incubi, passeggiate nel sonno e visioni di mostri con un vero esorcismo se prima ci aiuterete a condannare i confrati con l’accusa di aver abusato del vostro corpo durante le Messe Nere».

Pol.: «Ma io non…».

E.: «Voi non potete ricordare perché eravate sotto l’effetto di droghe».

D.: «Ascoltatemi, Polimena. Voi siete una bellissima ragazza, e qualunque abuso abbiate subito nulla toglie alla vostra avvenenza. Quando i confrati saranno condannati il diacono Eusebio, che è valentissimo in materia d’esorcismo, vi farà guarire, e allora potrete diventare per me un’ottima moglie, che dopo tanti anni di vagabondaggio per il mondo sento proprio il bisogno di averne una,insieme a un erede».

Pol.: «Mi confondete, signore… Sembra quasi… che vi stiate prendendo gioco di me».

D.: «No, no, vi prego. Pensate solo a questo: io vi riscatterò dalla vostra infima condizione e voi un giorno potrete essere la duchessa di Malva».

Pol.: «E voi prendereste in moglie una donna pubblicamente vittima di abusi?».

D.: «Non pensateci. Tutto ciò non avrà la minima importanza, purchè collaboriate con noi a smascherare gli adepti del diavolo a Malva».

Pol.: «Sono molto confusa… Finora ho detto sempre e solo la verità. Voi mi chiedete di dire qualcosa che non so».

E.: «Tenete conto che anche la falsa testimonianza è santa se serve a smascherare il diavolo. Non temete di secondarci anche affermando il falso, ché la giustizia divina sa discernere le buone dalle cattive intenzioni».

Si alzano, si affacciano alla porta, escono. Il Duca parla agli abitanti di Malva:

«La deposizione segreta di Polimena ha confermato strani e inspiegabili episodi che presto saremo in grado di chiarire».

 

Scena XIV

 

 

D.: «Entri il collaborante volontario Trecarichi». Un uomo avanza dalla folla ed entra nella sala. E.: «Che mestiere fate voi?».

T.: «Faccio il pastore e il capraio».

E.: «Quando avete visto Polimena aggirarsi nei pressi della Matrice?».

T.: «In due occasioni in cui mi trovai a portare le mie bestie al pascolo passando vicino la Chiesa».

E.: «Siete sicuro che si trattasse di lei?».

T.: «Non ne ho il minimo dubbio. La conosco fin da bambina. La riconoscerei dalla sola ombra, come tutti gli abitanti di Malva».

E.: «Ed era sola o c’erano altri con lei?».

T.: «C’erano altre ombre, provenienti senz’altro dalla Matrice, l’unico posto da cui si potevano esser mossi».

E.: «Chi avete riconosciuto oltre a Polimena?».

T.: « Nonostante queste persone cercassero il favore delle tenebre sfuggendo i raggi di luna, sono certo d’aver riconosciuto oltre a Polimena e Zammara, il cerusico Porzio, il protomedico Intraleo e il sarto Filistella».

E.: «Da dove provenivano costoro, secondo voi?». T.: «Senza dubbio dalla Chiesa Madre».

E.: «Dove non si entra se ad aprire le porte non sia il parroco in persona».

D.: «Per il momento tornate al vostro posto. Ci sono altri collaboranti volontari?». Si fa avanti una donna dall’aspetto molto minuto.

D.: «Chi siete voi?».

V.: «Il mio nome è Vitula, moglie del calzolaio Genacco. Siamo collaboranti volontari in cerca di terra e lavoro. La nostra misera bottega e l’annessa stamberga, noi due più i nostri cinque figli, si trovano proprio di fronte alla Matrice. È per questo che so qualcosa di ciò che è accaduto lì dentro per anni».

E.: «Parlate, dunque».

 

V.: «Più volte, di notte, trovandomi a guardar dentro la Chiesa attraverso certe crepe nella porta che loro non si sono mai curati di tappare, tanto erano sicuri che nessuno si sarebbe soffermato a osservarli, ho visto bagliori di fuochi ».

E.: «E avete visto solo questi fuochi?».

V.: «No, non solo questi, ma c’erano ombre volanti visibili attraverso le ombre che gettavano sui finestroni, come di giganteschi pipistrelli…».

Pol. (interrompendola): «Sì, i pipistrelli, li vedevo sempre e li vedo anche ora… aggrappati a Don Nicola!».

E.: «Bene, ulteriori prove delle sue collusioni demoniache. Polimena, lasciate continuare Vitula».

V.: «Oltre alle ombre dei pipistrelli si udivano frasi di una volgarità irripetibile insieme a bestemmie pronunciate da voci inumane».

E.: «Ripeteteci almeno una frase di quelle che avete udito alla Matrice, la meno sconcia, purchè possiamo farcene un’idea».

V.: «Uomini dalla voce tenebrosa, sorretta dal tono basso di Satana in persona, dicevano ripetutamente: “Tenero innocente corpo bianco”».

E.: «C’è dell’altro?».

V.: «Sì, ma è tanto indegno che non posso riferirlo».

E.: «E la persona a cui diceva queste parole rispondeva qualcosa?».

V.: «Con voce flebile, che capivo appena, come se non fosse pienamente in sensi, rispondeva: “Se così vi piace mio signore”».

E.: «Non v’è alcun dubbio che si abusasse fisicamente di Polimena, altro che esorcismo razionale. Il principe di cui si parla era evidente il diavolo, in persona di uno o più degli imputati. Siete certa che la voce femminile fosse della ragazza?».

V.: «Sì, certamente».

E.: «E le voci maschili?».

V.: «Credo che appartenessero a turno a tutti gli imputati». E.: «E cosa dicevano? Cosa ripetevano?».

V.: «Sempre quella frase: “Tenero innocente corpo bianco”, “Tenero innocente corpo bianco”».

E.: «V’erano altre voci femminili e quali?». V.: «Anche Zammara ripeteva quella litania».

E.: «Si comincia a delineare una setta satanica che esercita continui abusi su una ragazza rimasta intrinsecamente bambina come Polimena».

 

Pol.: «Monsignore, un lunghissimo serpente nero si è avvigliato tutt’attorno al corpo di Zammara, eppure non la soffoca anzi lei ne gioisce e se ne mostra orgogliosa».

  1. (puntandole contro il Cristo aureo come una spada): «Vade retro! Vade retro!».
  2. (ride a crepapelle): «Ma io sto benone con questo mio magnifico serpente intorno: mi sento una regina».

E.: «Spero per voi che sappiate sentirvi regina anche sul rogo!». Pol.: «Aiuto, aiuto! Quel serpente è Satana!».

Il duca abbracciandola: «Oh, piccola Polimena, Satana non oserà neppure sfiorarvi!».

E.: «L’interrogatorio di Vitula è finito. Grazie per essere stata così esauriente. Adesso voglio riascoltare don Nicola».

 

 

 

Scena XV

 

 

Entra di nuovo don Nicola.

E.: «Don Nicola, voi conoscete di certo la differenza tra una Messa Cattolica e una Messa Nera».

d.N.: «Certo, la Messa Cattolica è celebrazione di Cristo, la Messa Nera è celebrazione di Satana».

E.: «Innanzitutto il vostro esorcismo razionale è di per sé un’eresia, perché effettuato a insaputa della Chiesa, che probabilmente si sarebbe pronunciata contro la sua effettuazione. Inoltre, come si evince sempre più chiaramente dalla deposizione di Polimena tali Messe Nere, come peraltro accade normalmente, non si limitavano agli strampalati riti in omaggio a Satana, ma prevedevano, ed è ciò che più d’ogni altra cosa ci fa’ smuovere di sdegno, contatti di tipo sessuale con la ragazza mentre lei versava in condizioni di semincoscienza. È vero, Polimena?».

Pol.: «Vedo un corvo, vicino a voi, don Nicola! Il corvo che mi ha insegnato a essere donna, a conoscere il piacere della donna!».

d.N.: «Come osi dire questo, Polimena! Ci accusi dicendo che le nostre intenzioni nei tuoi confronti non erano pure e che l’esorcismo razionale, che già di per sé non era che un espediente per abusare di te, Polimena! Dici la verità, ragazza, in nome dell’Onnipotente!».

Pol.: «La verità la dice quel corvo nero che vi sta attaccato alla spalla. Quello è un simbolo di contatto fisico e ora sono sicura che ciò è accaduto».

 

d.N.: «Ma se vi trovavate in stato di incoscienza!».

Pol.: «Non ero del tutto incosciente. Sentivo le vostre litanie in latino e poi la vostra mano sinistra risalirmi la coscia, mentre Zammara che pregava la Luna. Anche il cerusico, il protomedico e il sarto impegnati nelle loro solenni discussioni sulla natura della mia malattia, non si limitavano a parlare ma mi toccavano ininterrottamente, in maniera ruvida, lercia, tentando di approfittare di ogni centimetro della mia pelle!».

P.: «Il corvo che vi sta appollaiato sulla spalla! È il diavolo, ormai l’ho capito, e ora mi sta facendo segno di tacere, per difendere la vostra posizione, ma io non ho alcuna intenzione di farlo, mentecatto, né per voi, né per i vostri farabutti complici, né per Zammara, che credevo la mia seconda madre e ora si rivela ai miei stessi occhi una squallida megera!».

d.N.: «Che dici, scellerata? Io non vedo alcun corvo sulla mia spalla!».

Pol.: «Ma io sì, sì lo vedo questo schifoso corvo ed è come se la pronunciasse lui quella terribile frase “Tenero innocente corpo bianco”!».

E.: «Anch’io vedo il corvo sulla vostra spalla ,don Nicola!».

D.: «Anch’io! Ci sono altri che lo vedono tra i collaboranti volontari?». Un coro di voci: «Anche noi lo vediamo! Sì, sì lo vediamo!».

E.: «Mi sembra che non possano esservi prove più lampanti della presenza del diavolo perfino in questa sala, alla nostra presenza, a ostentare la sua intimità col parroco, che rappresenta il maggior rappresentante della Santa Chiesa a Malva, e che questo suo voler rivendicare pubblicamente la sua presenza sia un’eloquente prova della veridicità della testimonianza di Polimena, la quale si sta rivelando un’attendibile e completa fonte di prova. Lei ha il potere di vedere il diavolo immediatamente nell’atto di avvinghiarsi a un suo adepto, a indicarne il rapporto di possessione, e subito dopo anche altri possono vederlo e confermare quanto lei dice…».

Pol.: «Signor diacono, il diavolo… il diavolo… si sposta… lascia il corpo del parroco e si sposta sulla spalla del cerusico Porzio!».

E.: «Guardie, portatelo qui !».

 

Scena XVI

 

 

E.: «È davvero ripugnante, che un uomo di scienza come voi, cioè non dico proprio di scienza, ché certo non siete uno scienziato, ma che dovete aver studiato presso uno

 

speziale o una scuola in grado di attestare la vostra formazione, sia caduto in una condizione dello spirito così bassa da indurlo a praticare Messe Nere e riti demoniaci sotto la copertura di un presunto “esorcismo razionale”, il cui vero fine non era altro che abusare carnalmente di questa povera ragazza che io non temo di definire bambina. Dove vi siete diplomato in arti farmacologiche?».

C.: «Presso la Regia Università di Napoli, signor diacono».

E.: «Una delle accademie più prestigiose del mondo. Dev’essere costato un bello sforzo economico alla vostra famiglia mantenervi lì».

C.: «È vero, è stato un peso da portare sulle spalle per tanti anni, ma erano felici di avere un figlio e un fratello diplomato in arti speziali e io non li ho delusi. Nella mia materia sono assunto a grande competenza, che mi crediate o no».

E.: «Il credervi mi rende addirittura intollerabile la vostra vista. Come posso credere che un valente speziale abbia a scendere così in basso da fornicare con una bambina, lusingandola in chissà quali modi nel corso di orride Messe Nere tenute in sfregio all’Onnipotente nella Chiesa Matrice».

C.: «È ben noto che Polimena ha ventitrè anni e non è una bambina…».

E.: «È una bambina o peggio, nonostante i suoi ventitrè anni. Anche questo è diabolico: aver messo un cervello così infantile nel corpo di una giovane assai piacente. Ma perché non tentare di sedurla normalmente, come ogni uomo può fare con una donna, anziché ricorrere all’infamia della Messa Nera?».

C.: «Io non sapevo che quelle fossero Messe Nere, e ancora oggi ne dubito. Per me erano e restano un tentativo di esorcismo inizialmente non riuscito ma che dopo la nostra partecipazione è sembrato poter dare buoni risultati per la guarigione di Polimena».

E.: «E da cosa doveva guarire secondo voi visto che il diavolo la possedeva interamente e non era possibile altra via che l’esorcismo di Santa Madre Chiesa?».

C.: «Bene, lo dico ad alta voce: non credo affatto al diavolo e ad altre forze soprannaturali in casi del genere e neppure in generale. Per me Polimena si era avvelenata accidentalmente per l’abitudine, che avevo constatato numerose volte vedendola passeggiare in campagna con Zammara, di tenere tra le labbra uno stelo di malva, che ha un sapore simile all’anice, che non fa subito male alla salute, ma a lungo andare risulta nocivo, perché comporta un costante avvelenamento delle facoltà d’intendere e volere e altera il corretto stato di comprensione razionale nonché la capacità di limitare incubi continui e visioni, che possono capitare

 

eccezionalmente a tutti, ma non con la frequenza incessante con cui si verifica negli avvelenamenti da malva…».

  1. (interrompendolo): «Ma anche Zammara e forse molte altre donne hanno l’abitudine di porsi tra le labbra steli di malva e non hanno incubi e visioni come Polimena!».

C.: «Proprio di questo dialogavamo durante gli esorcismi razionali col protomedico Intraleo: io mi chiedevo come alcune persone potessero essere inclini all’avvelenamento da malva e altre resistessero senza mostrare alcun sintomo, come Zammara e tante altre. Forse Polimena è affetta da una costituzione sanguigna più debole della media che spiana la strada al veleno e gli permette di distruggere centri cerebrali importanti quali presidi contro la naturale tensione maligna del sogno e della vita fantastica».

E.: «E cosa sosteneva il vostro interlocutore?».

C.: «Che la malva non c’entrava nulla e la colpa era tutta da ascriversi ad un enorme disequilibrio a favore dell’umor nero melancholico su gli altri tre umori».

E.: «E l’altro, il sarto Filistella?».

C.: «Lui è un poeta e pensava che i sogni e le manifestazioni a carattere irrazionale di Polimena fossero poesie o opere d’arte mancate e cercava di capire come si potessero portare a realizzazione per renderla finalmente felice».

E.: «E qual’era il rimedio che voi proponevate per curarla?».

C.: « Riflettevo continuamente in presenza della malata, perché se fossi incorso in errore non avrei potuto che aggravare la sua condizione o esserle addirittura di nocumento fatale».

E.: «E mentre pensavate non facevate che toccare la ragazza, dico toccare, ma forse molto più, io credo».

Pol. (urlando): «Molto più, reverendo, molto più!Mi costringevano ai contatti più disgustosi e repellenti che la sensibilità umana possa provare! Io ero del tutto inerme nelle loro mani! Vedo figure! Vedo nere figure di animali diabolici accanto ai miei carnefici!».

D.: «Chi? Chi?».

Pol.: «Questo qui davanti, il cerusico Porzio, ha accanto un asino dalle appendici mostruose, che toccano il pavimento!».

D.: «E poi chi?».

Pol.: «Il protomedico Intraleo ha un cervo dalle lunghe corna». D.: «Chi ancora?».

 

Pol.: «Don Nicola, un serpente, un serpente proprio come lui!». D.: «E il sarto Filistella?».

Pol.: «Un maiale fetido, proprio come la sua anima». D.: «E Zammara?».

Pol.: «Zammara no, nulla, la mia cara mamma».

E.: «Cosa ricordate del cosiddetto “esorcismo razionale”?».

Pol.: «Zammara mi accompagnava alla Matrice. Lì trovavo già don Nicola, Porzio, Intraleo e Filistella. Al centro della navata trovavo un giaciglio rialzato dove venivo fatta stendere. I crocifissi e le immagini sacre erano coperti da drappi neri. Dopo avermi fatto bere la pozione, che mi veniva data dal cerusico, ed esser così entrata in stato d’incoscienza, Don Nicola pronunciava un falso Pater Noster che suonava più o meno così : “Padre nostro Satana, che ingiustamente ti trovi negli inferi, ma un giorno dominerai i cieli, dacci oggi il nostro male quotidiano, e non indurci mai a pietà, ma liberaci dal bene e permetti alla lussuria di sfogare i suoi desideri e visto che ci dai questa ragazza sia essa in tuo possesso e in vece tua nel nostro”. E da quel momento in poi, don Nicola recitando le sue mostruose orazioni e gli altri parlando di questa sostanza o dell’altra o di umori o di sogni o poesia abusavano di me, usandomi come una bambola di pezza».

E.: «Signor Duca, lo sviluppo del procedimento indica chiaramente la colpevolezza degli imputati, per i quali tutti chiedo la pena del rogo».

D.: «Voglio avere tutti gli scrupoli possibili prima di arrivare a questo. Intanto voglio sapere se ci sono cittadini di Malva che hanno qualcosa da dire sul cerusico Porzio». G:“Sono Genacco, marito di Vitula che ha parlato prima.Porzio è un malvagio, signor Duca. Quattro anni fa accadde che a causa di una prolungata malattia di mia madre

la nostra famiglia si era indebitata per comprare le pozioni prescritteci dal protomedico Intraleo, al punto da non aver più nulla da mangiare. Quando non avemmo più di che pagare, ottenemmo di avere qualche pozione a credito, ma visto che non potevamo saldare il debito – e cominciavamo ad avere il sospetto che lui ce la tenesse malata apposta con i suoi intrugli, per tenerci sempre sotto di lui e appropriarsi da un giorno del nostro fazzoletto di terreno a frumento – il giorno che ci chiese questo terreno noi rispondemmo che comunque valeva molto più di quanto gli eravamo in debito.Allora lui finse di voler rimandare la cosa e ci diede la pozione per quella settimana dicendo: “Per ora pensiamo a vostra madre. Per parlare del terreno c’è tempo”. Tornai a casa, somministrai la pozione a mia madre e lei

 

entro due ore morì tra spasmi atroci e urla. Ecco chi è il cerusico Porzio:un avvelenatore!».

D.: «Che avete voi da dire, cerusico?».

C.: «Non posso dimostrare la mia innocenza se non con un semplice ragionamento: visto che il debito dei Genacco era ancora inferiore al valore del terreno, non era mio interesse far morire la madre di quest’uomo, ma tenerla ancora in vita a lungo, fino al punto che loro non avrebbero potuto negarmi la sua cessione».

D.: «Io credo a Genacco. Voi gli avete ucciso la madre a ragione di un’improvvisa recrudescenza del vostro risentimento per non essere stato ancora pagato, senza badare a ulteriori conseguenze future. E ora, sempre per i miei scrupoli, forse eccessivi, voglio ascoltare gli altri due imputati, il protomedico Intraleo e il sarto- poeta Filistella».

 

 

 

Scena XVII

Il protomedico Intraleo davanti ai suoi giudici

E:.: «Conosciamo tutti assai bene la Teoria dei Quattro Umori che in varia miscela tra loro governano l’anima e determinano il comportamento umano: l’accidia, la melancholia, la collera, la flemma. La Chiesa al riguardo preferisce non esprimersi, considerandola più una sopportabile superstizione che non una teoria scientifica in aperto contrasto con la vera dottrina dell’unità dell’anima, nel qual caso la lotta sarebbe furibonda perché, come ben sapete, il Concilio di Trento non tollerò eresie di sorta, neppure a giustificazione scientifica,e anche a un secolo di distanza la validità della sua cristallina posizione resta incrollabile. Veniamo a Polimena. Qual era la vostra diagnosi dei mali accusati dalla ragazza? Innanzitutto, Polimena, vedete ancora un animale diabolico accanto al protomedico?».

Prot.: «Sì».

E.: «Che animale?».

Prot.: «Un cervo dalle lunghe corna».

E.: «Quindi il diavolo vuol confortarvi e proteggervi. Non ditemi che come scienziato non credete nel diavolo?».

Prot.: «Infatti io non credo nel diavolo».

E.: «Ma il diavolo crede in voi, come ben dimostra la visione di Polimena! Voi lo vedete, signor Duca?».

 

D.: «Un’ombra molto sfocata. Non ho certo la visione acuta di Polimena, frutto di tanta sofferenza».

E.: «Anch’io ho solo una sensazione. Ma Polimena è la voce della sofferenza e della più pura innocenza ed è per questo che ogni sua testimonianza ha il valore di assoluta verità del Vangelo. Protomedico, voi sapete che non credere nel diavolo è diabolico?».

Prot.: «Non credo nel diavolo».

E.: «Quindi avete un animo diabolico. Per questo il diavolo vi vuole tra i suoi e vuol proteggervi. Voi partecipate alle Messe Nere senza credervi, ma al diavolo va bene lo stesso perché comunque l’agnosticismo è eretico e dunque diabolico. Torniamo al punto. Da quale abnorme preponderanza di uno dei Quattro Umori dipendevano le manifestazioni demoniache di Polimena?».

Prot.: «Per me era un caso del tutto nuovo e lo stavo studiando. Penso che la melancholia prevalesse su tutto, con una potente intrusione di collericità mista ad accidia, che impediva alle inquietudini della ragazza di esprimersi con fenomeni liberatori comuni come crisi di urla e pianto ma attraverso visioni e la sostituzione del sonno alla vita reale, tanto da farla camminare mentre dormiva».

E.: «Moltissime persone potrebbero essere caratterizzate dal prevalere della melancholia con intrusioni di collericità e accidia, forse io per primo. Eppure non ho visioni degne di questo nome né cammino nel sonno. La vostra diagnosi era molto vaga, assai deludente per essere un uomo aduso di scienza».

Prot.: «Neppure io sono soddisfatto della Teoria dei Quattro Umori. Anche a me pare una giocosa semplificazione per spiegare ciò che non riusciamo a capire del comportamento umano. Forse gli umori sono molti di più, ovvero è possibile che ogni umore sia suddiviso in migliaia di piccoli umori, ognuno dei quali può reagire con altri in maniera imprevedibile e generare i più strani fenomeni visibili».

E.: «Così voi, mentre vi lambiccavate il cervello per capire se Polimena fosse affetta da un’alterazione di quattro o quattromila umori, vi dilettavate ad accarezzarla o peggio, vero Polimena?».

P.: «C’è quel cervo dalle lunghe corna che mi guarda fisso, per significarmi che è proprio lui, Satana. Era lui, il protomedico, con la testa di cervo ad affermare che ero solo un oggetto offertogli dal diavolo per il suo piacere».

E.: «Sentite, protomedico? La verità si svela per voce di questo angelo!».

 

Prot.: «Io affermo di aver toccato Polimena con castità una sola volta, per verificare che la fronte, il collo, i palmi delle mani, le caviglie e le piante dei piedi mostrassero la stessa temperatura e non vi fossero gravi disparità termiche, nel qual caso avrei potuto forse individuare una causa dei suoi malesseri e probabilmente trovare un rimedio».

E.: «Credete di soddisfare le esigenze della verità giocando con le parole? Dite che una sola volta l’avete toccata con castità, per questa ridicola storia delle temperature di cui non ho mai sentito parlare prima d’ora. E va bene, vi credo: l’avete toccata una sola volta con castità, e tutte le altre senza castità!».

Prot.: «L’ho toccata solo quella volta e basta!». E.: «Polimena, è vero?».

P.: «No, reverendo, ha abusato di me nel modo più perverso un gran numero di volte».

E.: «La voce della verità è trasparente. Signor Duca, io riterrei concluso l’interrogatorio degli uomini di scienza, che ha dimostrato con chiarezza come il cosiddetto “esorcismo razionale” di cui parlano don Nicola, il cerusico Porzio e il protomedico Intraleo non sia che una vergognosa mistificazione inventata per mascherare il più vile abuso di una quasi bambina, perpetrato nel nome di Satana».

D.: «Prima di emettere la sentenza non resta che interrogare il sarto poeta Filistella».

 

 

 

 

 

Scena XVIII

 

 

L’uomo viene accompagnato davanti al diacono Eusebio. Sembra sia cieco. E.: «Siete cieco?».

Filistella: «Vedo, ma non con gli occhi».

E.: «Vedete i sentimenti, i pensieri, le anime?».

F.: «Dalle parole ricavo i sogni».

E.: «Vi ritenete un buon cristiano?».

F.: «Un peccatore sopportabile».

E.: «Visto che siete cieco non sarà facile per voi peccare».

F.: «Sono un peccatore per vocazione, non per effettuazione».

E.: «Ritenete perciò di aver diritto a un trattamento più favorevole?».

F.: «Spero di no, che altrimenti lo stesso peccato mi risulterebbe insulso».

 

E.: «Ci sono cattive testimonianze su di voi. Vi si accusa di atti orribili».

F.: «Anche Gesù Cristo fu accusato di fatti orribili».

E.: «Non osate paragonarvi al nostro Redentore. Ascoltiamo le testimonianze a vostro carico. Parli Polimena».

P.: «In chiesa, di notte, c’era anche lui, e non so se mi toccava o no, ma di certo mi fissava in modo continuo con i suoi terribili occhi vuoti di sguardo comune».

E.: «Non aveva uno sguardo ordinario? Ne aveva uno straordinario?».

P.: «Non aveva nessuno sguardo. Di lui non si può dir nulla, è il più perfido di tutti».

E.: «Corre voce che siate un poeta. Declamateci qualche vostro verso».

F.: «Non lo faccio mai per nessuno. Li scrivo nella mente e basta».

E.: «Li dedicate forse a Satana?».

F.: «Li dedico a me stesso».

E.: «Passiamo ad altro. A cosa facevate risalire i misteriosi fenomeni psichici di Polimena?».

F.: «Polimena è una cara ragazza, dolce, delicata, molto fantasiosa. Quando era distesa nel giaciglio al centro della Matrice, mentre ognuno degli altri faceva ciò che riteneva più giusto, secondo le sue convinzioni, io la interrogavo sui suoi sogni e tentavo di capire cosa significassero. Erano comunque sogni bellissimi, che potevano venir espressi solo da un’anima nobile».

E.: «Fate un esempio».

F.: «Polimena sognava spesso che una montagna nuda, isolata, senza ombreggiatura di alberi, misera quante altre mai, continuamente battuta da venti furiosi, pioggia incessante e fulmini, all’improvviso conoscesse una breve ora di pace e che nel suo fianco nascesse un glicine o una rosa o una margherita e così via, ma sempre un fiore unico su una montagna sola: questa rappresentava sempre sua madre, mentre il fiore era lei medesima. Camminare nel sonno per lei significava cercare la madre anche nello stato di più completa incoscienza e parlare non era altro che compiere una serie di mascherate invocazioni della madre, ora chiamata Terra, ora Luna, ora Montagna e in molti altri modi».

E.: «Ammesso ciò, in che modo contavate di guarirla?…».

F.: «La guarigione sarebbe stata lentissima, ma sarebbe avvenuta. L’importante era che un passo dopo l’altro Polimena si rendesse conto che tutta la sua vita, in ogni sua manifestazione cosciente o meno, era dominata dalla ricerca della madre, la madre che aveva avuto una vita tanto infelice ed era morta che era così piccola. Poi forse,

 

non potendo sostituire debitamente l’immagine della madre con la matrigna Zammara, avrebbe però potuto identificarsi con la madre lei stessa, sposandosi e diventando madre e rivivendo così il significato della maternità, con il che si sarebbe compenetrata davvero con la madre perduta».

E.: «Sembrerebbe un discorso ragionevole. Ma ditemi, mentre ascoltavate i sogni di Polimena, la toccavate?».

F.: «Non l’ho mai toccata in alcuna parte del corpo, tranne che in fronte». E.: «Polimena, Filistella vi toccava?».

P.: «Come e più degli altri! Era il peggiore della compagnia! Quand’ero inebetita dalla bevanda “liberatrice”, con la scusa di ascoltare le mie inutili chimere non faceva che strusciarsi contro di me e allungare le sue mani rapaci sulle mie parti vergognose».

F.: «Non feci mai nulla di tutto ciò. Forse Polimena ricorda male o mi scambia con qualcun altro».

E.: «Polimena, vedete un animale accanto a lui?». P.: «Sì, reverendo».

E.: «E quale?».

P.: «Un bue nero dalle lunghe corna aguzze e le appendici bene in vista».

E.: «Visto che insistete nel difendere la linea dell’ “esorcismo razionale” a fin di bene, ammetterò delle altre testimonianze su di voi, che mostrino in pieno la vostra natura turpe e senza scrupoli».

Coll.: «Reverendo, chiedo la parola». E.: «Chi siete voi?».

Coll.: «Mi chiamo Zancatri e sono collaborante volontario». E.: «Che avete da dire voi?».

Coll.: «Questo sarto che sembra inesistente, un povero cieco incapace di nuocere è il mostro più perverso che ci sia al mondo».

E.: «Cosa volete dire?».

Coll.: «Che non è un vero cieco, o per lo meno, se lo è, ha il potere di sottrarre ai nostri figli le loro figure esteriori e a recarsele nell’abisso del suo inferno, tenendole prigioniere dei suoi luridi istinti primitivi. Infatti costui, nella sua turpitudine, alle ragazze o donne d’età legittima predilige gli infanti, maschi o femmine, in età di Prima Comunione».

E.: «L’accusa è così grave che non potete astenervi di darne adeguata spiegazione».

 

D.: «Fatemi capire. Come accade che un cieco rubi l’immagine ai bambini e ne approfitti in modo esecrando?».

Coll.: «Ecco, vostra eccellenza. Al tempo della Prima Comunione, le famiglie più povere, che non hanno la possibilità di vestire in modo acconcio alla cerimonia i loro figli, li mandano a spese di don Nicola nel laboratorio di sartoria di Filistella, perché possa prendere le misure per le loro vestine da cerimonia».

E.: «Ed è in quei momenti che abusa di loro? Li tocca nelle parti vergognose mentre finge di prender loro le misure delle vestine?».

Zancatri: «No, fa di peggio, reverendo. Egli se ne sta lontano dai bambini, che entrano uno alla volta con le loro madri, le quali son esse a prendere le misure con un apposito metro, mentre lui le annota a matita su un taccuino. Quando solleva il viso guarda la scena con uno sguardo da cieco impostore. Quindi appronta le rudi vestine e le consegna dieci giorni prima della cerimonia. Ma vi assicuriamo che per la maggior parte dei bambini e delle loro famiglie sono dieci giorni di supplizio nelle mani del demonio».

E.: «E come accadrebbe tutto ciò?».

Zanc.: «In quei giorni i nostri figli, anziché mostrarsi lieti di andare al primo incontro con Cristo, appaiono abulici e privi di forze, rifiutano il cibo, sono assenti e svuotati di forze, mentre lui se ne sta chiuso nel suo alloggio e non risponde a nessuno, neppure se gli percuotano con violenza la porta».

E.: «E la prova del male in tutto ciò?».

Zanc.: «Sembra che qualcuno, attraverso la porta, gli abbia sentito chiamare il nome dei bambini, come se li rincorresse giocosamente nella stanza nell’atto di mettere in opera le sue nequizie».

E.: «E come si spiegherebbe questo, secondo voi?».

Zanc.: «Tutte le madri ormai sono d’accordo sul fatto che lui riesce a separare con i suoi terribili occhi la parvenza del bambino della sua realtà fisica, riuscendo a conferire verità reale alla prima e mortificando la seconda. Cioè, in quei giorni, il vero bambino è la sua figura, che lui, il perverso Filistella ha catturato e con la sua fantasia può farne quello che vuole perché fantasticare su una figura è realtà, così la gente pensa. Ed è solo quando le vestine vengono restituite e scucite da Filistella che l’incantesimo finisce e i nostri figli tornano lentamente alla normalità. Ma tutti riferiscono che anteriormente alla Prima Comunione hanno attraversato una grotta dove un uomo cieco non faceva che accarezzarli in modo sconcio e compiere su di

 

loro atti irripetibili. Pertanto noi giudichiamo che egli approfitti degli innocenti separandone le figure dal corpo per diversi giorni con incantesimo che non sappiamo contrastare».

Il diacono Eusebio consulta il Malleus Maleficarum

E.: «Ecco, ho trovato. È in latino ma ve lo traduco: “In demonologia si dà distacco tra la figura della persona e la persona medesima. Quest’ultima in generale opera in buona armonia con la prima, dandole una stabile collocazione di tempo e di luogo, ma maggiore importanza è dell’uomo o della donna o dei bambini in figura, perché è nella figura mobile che si collocano l’anima, le facoltà intellettuali, il carattere, le volizioni e i ricordi del subjectum. La parte aerea e mobile della persona può recare in sé quanto di più divino pertenga all’essere umano come quanto di più demoniaco, se la figura, mobile com’è, viene intercettata da forze diaboliche. La figura viene spinta in cielo verso Dio in caso di meritevole collocazione nell’aldilà. Il corpo corruttibile che l’ha sostenuta in terra decade, ma la figura, con tutte le sue facoltà intellettive, volitive, mnemoniche permane ed è l’anima che si mostra al cospetto di Dio. Ma se la figura è traviata da avidità, incoercibile sensualità, irriguardosità verso l’Onnipotente, essa è quanto di più turpe l’uomo possa presentare di se stesso all’Eterno ed è in grado di compiere in numero se gravissime azioni malvage. La figura può staccarsi dal corpo ed essere utilizzata dal demonio in vari modi: mentre il soggetto si trova in un luogo, la sua figura può essere inviata altrove a compiere ogni sorta di turpitudini, partecipare a sabba e malefici vari. Può così compiere ferimenti e omicidi, per quanto il soggetto visibile resti ben lontano dalle sue vittime. Inoltre, individui dotati di particolari qualità demoniache possono catturare con lo sguardo satanico altri individui in figura( in questo caso quelle di innocenti bambini in età da Prima Comunione) e abusarne a loro piacimento, riuscendo, grazie alle loro conoscenze di magia nera, a ritrasformare le figure in individui sensibili nei luoghi infernali dove hanno confinato i simulacri privi di corpo”. Ed è questo sicuramente il caso del sarto Filistella, confermato dalle madri dei piccoli: col suo sguardo malefico, mascherato da una presunta cecità,e l’aiuto di stoffa incantata separava i bambini dalle loro figure, che riusciva a catturare nel suo mondo tenebroso, a ridare loro corporeità in modo ancora a noi sconosciuto e ad abusarne nel modo più bieco, mentre i corpi sensibili dei bambini restavano alle madri come poco più che cadaverini, fin quando non avveniva la Prima Comunione e i loro miseri abiti restituiti. Non v’è dubbio che egli abbia operato al massimo demonismo

 

possibile e che pertanto meriti la più severa delle punizioni. La parte riguardante il sarto Filistella si chiude qui e con questo l’intero procedimento, che ha potuto svolgersi con efficacia grazie alla testimonianza assolutamente veritativa di Polimena, ognuna delle cui parole si è dimostrata ed è stata accettata come fonte assoluta di verità. Adesso è venuto il momento di concludere con le condanne».

Pol.: «No, reverendo, non è ancora venuta l’ora della sentenza. Ho subito violenza anche da altri».

E.: «Questo non lo sapevamo. Da chi?». Pol.: «Da voi».

  1. (incredulo): «Da voi, chi?». Pol.: «Da voi e dal duca».
  2. (furente): «Ma che dite, pazza? Cosa vi passa per la testa di oltraggiare pubblicamente le nostre eccellenze?».

Pol. (urlando ansimante alla folla): «È successo nella sala temporaneamente adibita a sacrestia… Prima mi chiedono… “Cosa ti facevano durante la Messa a Satana? Raccontacelo dettagliatamente…”Io sono molto vergognosa e balbetto… Allora loro dicono… “Tu sei una magnifica ragazza, ma tanto sfortunata e preda di tanti rapaci… Ti facevano questo, forse?”. E mi toccano. “Oppure questo?” E così via, ripetendo tutto quello che mi avevano fatto i nemici di Cristo,tutto,dico,tutto!».

La folla rumoreggia

«Apostati! Traditori di Cristo».

D.: «Osate parlare così al vostro Duca che vi ha promesso un grande futuro ma potrebbe farvi impiccare tutti o tagliare la testa all’istante!».

Uno della folla: «Saremo noi a farvi a pezzi! Abbiamo roncole, asce e pugnali!». Un altro: «Come avete potuto fare lo stesso dei nemici di Cristo?».

D.: «E voi date credito alle farneticazioni di una povera pazza che si rivolta contro i giudici che volevano renderle giustizia?».

Pol.: «Pazza? Non ero pazza quando accusavo gli esorcisti razionali e lo sono ora che dico la verità su di voi? Non ero pazza prima e non lo sono neanche ora!».

E.: «Lasciando da parte la mia dignità ecclesiastico e comportandomi come un comune figlio di Dio, fallibile e peccatore io stesso, giuro che non ho mai commesso atti impuri nei riguardi di Polimena né di alcun altra donna su questa terra».

Il popolo: «Spergiuro! Spergiuro!».

 

D.: «Ma perché dar credito a una ragazza stanca e provata dalla lunghezza di questo processo, tanto da dar fuor di testa e non ragionare più?».

  1. N.: «Il popolo è inferocito, non vi crede».

E.: «Polimena è vittima del demonio, che in questo momento è più potente di noi! Forse abbiamo sbagliato a tenere questo processo qui, nella masseria ducale, dove i simboli di Cristo non sono sufficientemente forti, anziché nella Matrice che è la sua casa».

P.: «Il demonio? Il demonio ce l’avete accanto! Diacono Eusebio, non vi rendete conto, che il diavolo ce l’avete accanto, proprio lui l’ombra nera di Satana che vi tiene il braccio sulla spalla, fraternamente, mentre un serpente nero si attorciglia tutt’attorno a voi, come chi voglia difendervi a tutti i costi dalle giuste accuse che vi muovo? Popolo di Malva, vedi quello che vedo io, due ombre nere, una accanto al diacono Eusebio, in forma di Belzebù, e l’altra come serpente attorcigliato al duca?».

Il popolo di Malva: «Sì, sì lo vediamo tutti! Siamo pronti a scannarli». Duca: «Uomini a me! Preparate la difesa!».

Gli uomini del Duca non si muovono.

D.: «Vigliacchi! Codardi! Vedrete che fine vi farà fare il re di Spagna quando saprà del vostro tradimento!».

Don Nicola: «Basta! Basta! Non una goccia di sangue sarà versato che non sia il mio, di cui faccio dono alla causa della pacificazione!».

Il Duca, fuori di sé, sfodera la spada e si lancia contro Polimena:

«Avevamo fatto di voi la bocca della verità, bugiarda! Morite!» ma prima che il colpo possa abbattersi su di lei gli sgherri lo bloccano e lo trascinano via.

E.: «Portatelo nella sua stanza da letto e chiudetevelo dentro, con qualche bottiglia di Porto della nostra riserva. Credo che si calmerà presto e allora andrò a trovarlo. Poi si vedrà ciò che faremo». Poi rivolgendosi alla folla: «Io ripeto il mio giuramento: non ho mai compiuto atti impuri nei confronti di Polimena né proferito parole indegne verso di lei né ho tentato di indurla a raccontare in dettagli eventi vergognosi nei confronti di cui essa avrebbe potuto avere una giusta riluttanza a esprimersi in modo particolareggiato e lo stesso posso dire del Duca, anche se non posso giurare al suo posto. Il punto è che all’inizio del nostro dibattimento abbiamo assunto che sulla base della concordanza tra asserzioni e fatti concernente le precedenti dichiarazioni di Polimena, così come sulla palese profondità delle sue sofferenze e del suo disinteresse nella ricerca della giustizia, la sua testimonianza

 

potesse essere assunta come fonte della verità. In ciò abbiamo creduto, tentando di condurre il processo contro i nemici di Cristo con senso di giustizia e nella convinzione d’essere rettamente guidati da fede e ragione. Ora, è possibile che questo tremendo finale sia stato concepito da Polimena fin dall’inizio, che accreditandosi come suprema garante della verità, ha prima coperto di accuse, vere o false o anche solo esagerate, dei personaggi molto in vista di Malva. Costoro hanno sì commesso i fatti, oppure son semplicemente stati al gioco, compiendo la più pericolosa manovra immaginabile per salvare sé e il paese dalle ambizioni del Duca secondando la terribile tela di ragno di Polimena, che forse da sola, forse consigliata o guidata da Zammara, si è rivelata la più fine mente diabolica che io abbia mai conosciuto. Così, come principale conduttore del dibattimento, mi trovo di fronte a tre vie: se ammetto che Polimena abbia sempre detto la verità,anche io e il duca,oltre agli imputati, ci troveremmo a dover essere condannati per aver commesso nel nome di Cristo dei gravi atti impuri; se invece ha detto sempre il falso, tutti gli imputati dovrebbero essere prosciolti, noi compresi; se, infine, essa ha detto qualche volta la verità e qualche altre il falso dovremmo cercare un criterio assolutamente oggettivo, indipendente dalle nostre convinzioni e sentimenti, per stabilire quando ciò è accaduto. Solo l’intelletto di Dio è così grande da potervi riuscire. Per questo non rimane che una conclusione, la sola a cui possa pervenire una mente non certo priva di dottrina come la mia: ciò di cui Polimena accusa me e il Duca non è accaduto, ma poiché abbiamo stabilito che essa è la fonte primaria della verità, lo assumiamo comunque come vero, e così tutto risulta vero, gli abusi che essa subì nella notte della Chiesa nel nome dell’Anticristo e quelli che dice di aver subito nella sala adibita a sacrestia per opera mia e del duca. Tutto è vero della verità dei sogni, dove l’impossibile è plausibile e la realtà fisica dove l’uomo patisce malattie dolorose è più remota della più piccola stella del cielo notturno. Lasciamo dunque che tutti gli attori del sogno, me compreso, e il duca che fu di Malva ma più non sarà, come un giorno son comparsi all’improvviso sulla scena ora scompaiano nel mondo delle chimere».

Esce dalla sala mentre gli abitanti di Malva esultano e Polimena abbraccia Zammara e dice a don Nicola, al cerusico Porzio, al protomedico Intraleo, al sarto Filistella e al popolo tutto:

«Mai come oggi ho detto verità più false e falsità più vere. L’arrivo del Duca e del diacono è stato un brutto sogno, che io, dando prova di tutta la malvagità possibile

 

del mio cuore, con l’aiuto straordinario di Zammara ho trasformato nel più orribile degli incubi, dove gli stessi accusatori si sono perduti. Viva la libertà di Malva!».

Il popolo applaude. Tutti i cittadini si riconciliano tra loro, resistenti e collaboranti.

 

 

 

Scena finale

 

 

Intorno a mezzodì il diacono Eusebio bussa alla porta della sacrestia della Matrice. E.: «Ho terribili notizie, don Nicola».

d.N.: «Prego, accomodatevi».

E.: «Intanto però devo chiedervi perdono per il male che ho tentato di fare a voi e ai vostri parrocchiani. Senza dubbio il Duca voleva ridurvi in schiavitù usando la paura del demonio e io purtroppo mi sono conformato a questa sua idea. Ma stanotte è morto».

d.N.: «Morto? Che dite?».

E.: «Sì, è morto poco prima dell’alba, dopo una notte di indicibile delirio». d.N.: «Raccontatemi».

E.: «Prima però promettetemi d’accettare la mia umile persona come aiutante di sacrestia, come semplice ausiliario del vostro magistero».

d.N.: «Sì, va bene, ma il pane dovrete guadagnarvelo, anche con la zappa, nella proprietà della Chiesa».

E.: «Non chiedo di meglio. Andrò in giro per il paese a raccogliere l’elemosina e predicare il Vangelo e mi occuperò di qualsiasi problema in cui possa essere d’aiuto ai parrocchiani».

d.N.: «Siete stato a un passo dal mandarmi al rogo. Capirete che è un po’ difficile accettare la vostra richiesta».

E.: «Il perdono cristiano è più forte di ogni pur comprensibile rancore».

d.N.: «Pur trovandovi nel torto e nel bisogno non sapete rinunciare al tono di chi da’ ordini».

E.: «Vi prego di perdonarmi questa cattiva abitudine».

d.N.: «Eppure non mi chiedete se posso perdonarvi, ma di ordinare di farlo. Obbedisco al vostro comando e rimetto i vostri debiti come voi li rimetterete ai vostri debitori. Ora raccontatemi cosa è accaduto».

 

E.: «Quando vado a cercarlo nella sua stanza, che avevo fatto chiudere a chiave dall’esterno, lo trovo in pieno delirio collerico: “Aveva ragione Polimena a indicare in voi il diavolo! Rinchiudermi dentro! E va bene, va bene! Basta! Andate via!”. Dopo un po’ mi sento chiamare imperiosamente “Diacono! Diacono!”. Vado a vedere. Lo trovo che si rotola sul letto. Appena mi vede fa: “Diacono, sono i miei ultimi istanti. Ditemi cos’è meglio per la mia anima». E io: “Dare prova di ravvedimento al cospetto di Dio Onnipotente e arrivare a lui con l’anima sgombra di peccati”. “Allora – fa lui – domani, quando sarò morto date trecento ducati ai processati e mille a Polimena”. “Lo farò, signor Duca”. “Ora lasciatemi solo, cercherò di pregare per me stesso”. Dopo qualche minuto però si riprende mi chiama di nuovo e mi fa: “Diacono, domani quei sei li voglio impiccati!”. E io: “Signor Duca, per mettere su la forca occorrerà certamente più d’un giorno”. E lui: “Al diavolo! Torna il dolore! Datemi un’ostia sacra, che me ne vada in pace con Dio!”. “Dobbiamo provvedere al sacramento della confessione”. “Non occorre, diacono, datemi l’ostia. Dio sa già tutto di me”. Gli do’ l’ostia, l’inghiotte, si stende sul letto e dopo un po’ sembra star meglio. “Dio vuole così – dice – mi avvicina col dolore e mi allontana facendolo placare. Il significato è chiaro. Non vuole che lasci il mondo senza aver prima fatto giustizia. Se per mettere su la forca occorrerà un intero giorno, basteranno delle scariche di moschetto dei miei uomini per cacciare quei sacrileghi nel regno del demonio! Andate dagli scherani e dite loro d’esser pronti a catturare e giustiziare i prigionieri all’alba. Poi tornate a riferirmi”. Mancai un po’ di tempo. Tanto occorse per riunire gli uomini e formare il plotone che avrebbe dovuto eseguire la sentenza. Quando tornai il duca era rigido, stecchito. Non poteva più fare né il bene né il male né dare ordini ad alcuno, istruire processi, condannare, graziare. Tutti i suoi sogni di grandezza si erano spenti di colpo nel suo risveglio al cospetto divino. Gli diedi i conforti post mortem e ordinai agli scherani di seppellirlo in un orto minore della masseria ducale e ora mi presento a voi sperando di poter compensare con le mie opere future le tante cattive azioni compiute in passato e che lo sguardo di Dio benignamente m’impedì di portare a termine».

d.N. (abbracciandolo): «Caro diacono, il diavolo inganna tutti, inquisitori e inquisiti».

E.: «Se ricordate il nostro primo dialogo, il diavolo fa tra gli uomini ciò che Dio l’autorizza a fare poiché quest’ultimo spera di veder emergere dal fango dell’inganno, della calunnia e del tradimento uomini e donne che rassomiglino a suo figlio fattosi uomo e morto sulla Croce».

 

II danza di Zammara

E ora ballate, ballate tutti che la vita ci dia nuovi frutti

scordate i dolori, scordate i lutti! Ci han marchiato come pagani apostati, eretici e musulmani fedeli del diavolo o luterani!

Ma non c’importa di questa semenza: noi liberi, a loro la scienza

che di cotali si può fare senza!

E ora ballate, ballate con me ballate stasera, che meglio non c’è ognuna regina ed ognuno sia re!

 

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